“La superficialità mi inquieta, ma il profondo mi uccide”, conversa Alda Merini con quella sua voce rotta da due tre pacchetti di sigarette al giorno con la regista Antonietta De Lillo nel lungometraggio “La pazza della porta accanto“, presentato a Milano nello Spazio Oberdan. L’occhio della regista napoletana (già apprezzata con il film ‘Il resto di niente’, sulla nobildonna e rivoluzionaria Eleonora Pimental Fonseca) è allenato alle tematiche femminili e sociali.
Qui, dà corpo all’anima travagliata della poetessa, da cui il titolo più che esplicativo, visto che Alda in manicomio ci passò dieci anni, ma da sana. “Esistevano gli orrori dell’elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture, perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. Ci facevano una pre-morfina e ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. Una volta presi la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”. Una volta fuori dal manicomio Alda ha trovato la forza di amare di nuovo da farle esclamare: “Ho illuminato la vita di tanti, mentre io sono rimasta al buio”.
Ancora lapilli di creatività made in Naples all’ombra della Madunnin. I cornetti scaccia guai in argento, corallo e ebano di Carla Della Corte (ce ne vorrebbe una vagonata di questi tempi!) approdano nel concept store Riflessi in piazza Velasca. Dove lo stilista haute couture Alessio Visone fa sfilare gonne lunghe di velluto liscio stile Impero Caterina di Russia. Carla, la pasionaria, famosa per le sue crociate anti De Magistris, adesso raccoglie fondi per le luminarie di Natale: “A Salerno il sindaco “illuminato” ( mo’ ci vo) ha investito un paio di milioni di euro nelle decorazioni natalizie.
Sono bellissime, sembra di essere a Las Vegas, e attirano gente da ogni dove. A Napoli me le devo accendere da sola”, allarga le braccia Carla. Alessio Visone, testimonial del “fatto a Napoli”, taglia e cuce lì dove le sarte ancora si chiamano sarte e offre stage alle ragazze dei Quartieri Spagnoli (è così si chiama anche il suo profumo) che sognano un futuro diverso dal malaffare. Adesso Alessio vuole sfilare per provocazione su una passerella montata sulla discarica di Pianura.
Come in una pagina de “Le vie dei canti” di Bruce Chatwin, nella galleria di Luca Gracis in Piazza Castello 16 (ingresso libero fino al 14 dicembre) un’esibizione di arte aborigena australiana raccolta con passione da Jennifer Guerrini Maraldi, apprezzatissima art dealer londinese, d’origine australiana, bionda ed elegante, che del divulgare l’arte indigena ha fatto la sua missione. Una mostra “Earth wind and fire“, questo il titolo evocativo, per ricordare il genocidio dimenticato paragonabile a quello dei pellerossa d’America.
E solo da poco più di dieci anni è stata istituito “Il giorno del perdono“, festa nazionale per chiedere scusa a una popolazione fra le più antiche della terra. In mostra tronchi di albero, ‘gli stringybark trees’, svuotati, intagliati, anticamente usati come urne per conservare le ossa dei loro defunti. Alberto Maroni Biroldi, musicista jazz, suona con devozione il didgeridoo, un strumento locale ricavato da un eucalipto scavato “naturalmente” dalla termiti. Tele e manufatti realizzate con tecniche tribali e segni tradizionali, usando ancora pietre e terricci del deserto per ricavare i colori. Sembra subito evidente a chi si siano ispirati Keith Haring e altri maestri della Pop Art.
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