Mesi di scatti, con la paura di non riuscire a raggiungere l’obiettivo. Ma si sa, alla fine nulla è mai come l’hai pensato all’inizio e, a volte, si rivela meglio di quanto lo si poteva immaginare. E “Carte de Visite”, il progetto di fotografia sociale di Arianna Arcara, si è trasformato in qualcosa di più di un ‘semplice’ servizio gratuito e quotidiano di istantanee per gli abitanti e i lavoratori del quartiere. Eppure tutto era nato così. Un’idea che ha permesso ad Arianna, nome tutt’altro che nuovo nell’ambiente (la conosciamo già, infatti, per i progetti promossi con Cesura) di aggiudicarsi il bando di residenza C.a.p. 10152, promosso dalla Compagnia San Paolo sul tema della casa e dell’abitare.
Un bando che ha considerato progetti d’artista legati e creati nello quartiere di Porta Palazzo che è diventata base di lavoro, per un paio di mesi, di Arianna; un luogo, quello dell’appartamento della residenza temporanea in via Priocca 3, che gli ha permesso di pensare, sperimentare e cambiare in corso d’opera il progetto di “Carte de Visite” che tra l’altro è stato presentato in anteprima a Torino in occasione di Artissima (nel week-end del 7-9 novembre). Là, in mostra c’erano 30 dei 185 ritratti firmati da Arianna Arcara; fototessere, primi piani, ritratti di famiglia, per quello che poi col tempo da progetto di servizio è diventato un vero e proprio progetto collettivo, un ritratto di quartiere, formato dalle persone che vivono e lavorano a Porta Palazzo.
Una zona “difficile” -lo sa bene chi ci vive- ma che Arianna, in questi mesi di permanenza in via Priocca 3, ha cercato di restituire ai torinesi con le sue storie, facendo parlare direttamente le immagini di chi ha avuto la voglia (e il coraggio) di mettersi in gioco e di raccontarsi. Particolarità di questo progetto di ‘fototessere’ e ‘mosaici’ – sfociato poi nella mostra ad Artissima- è forse proprio la mancanza di volti. “Si tratta di una trentina di fotografie a volto coperto, in cui i soggetti non sono riconoscibili – spiega Arianna- la cui selezione è stata fatta con un criterio ben preciso. Prima di tutto rispecchia le percentuali di partecipanti e nazionalità legate al progetto e in secondo luogo le foto sono state scelte anche in base ai particolari che presentava la foto ‘oscurata’ dove la stampa si ferma all’altezza della bocca”. Una scelta precisa, preciserà Arianna perché “quando si guarda un ritratto ci si sofferma molto sul viso e l’espressione mentre oscurando proprio quella parte obbligo lo spettatore a guardare altrove, a fermarsi ai particolari e far sì così di creare nella sua testa un’idea di possibile volto ritratto”. Tutta la composizione è andata a formare un volto generale del quartiere e delle persone che sono passate dal suo studio. Si parla di 200 partecipanti (92 maghrebini, 59 italiani, 16 africani – di Kenia, Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio, Congo Brazzaville – 9 cinesi, 6 indiani, 5 rom, 1 sudamericano e 1 romeno) che hanno scelto di citofonare e salire al quarto piano di via Procca 3 per le proprie fototessere e ritratti. “Porta Palazzo è un quartiere multietnico e la mia zona è abitata in gran parte da magrebini e cinesi. Quindi i principali fruitori del servizio sono stati stranieri (per quanto si possano definire stranieri persone con carta d’identità italiana)”. “Inizialmente – aggiunge Arianna- partecipavano principalmente per necessità, salivano solo per fare la foto tessera o una foto intera. Poi una volta spiegato il progetto c’è chi tornava a fare foto di famiglia, foto con l’amico e molti erano interessati alla mostra finale e volevano partecipare creativamente al progetto quindi mi lasciavano anche libertà nello scatto”.
Ovviamente il percorso non è stato semplice. “Le maggiori difficoltà le ho incontrate nel periodo iniziale e ci è voluto del tempo prima di riuscire a far partire a pieno il progetto. Il mio studio/casa si trovava al 4° piano di un condominio, niente vetrine sulla strada ed inizialmente non avevo calcolato potesse essere una barriera non indifferente quella di dover venir da me, citofonare, salire al quarto piano ed entrare in una casa privata. Ho passato i primi 10/14 giorni a fare tanto volantinaggio a girare i negozi di quartiere e a parlare tanto con le persone”. Insomma, spiega Arianna, “dovevano conoscermi così da potersi fidare”. Superata questa prima barriera il progetto si è sbloccato e nel giro di 1 mese più di 200 persone sono passate dal suo studio. Comunque, sviluppare un progetto attorno al tema dell’habitat – inteso come casa ed insieme degli elementi ambientali, sociali e culturali che caratterizzano un insediamento urbano, domestico e famigliare – voleva dire intromettersi in un contesto molto riservato e per documentare lo spazio intimo, la forma e la sostanza delle abitazioni, Arianna avrebbe dovuto essere invadente. Per questo, l’approccio di residenza è stata la scelta migliore. “La residenza è diventata l’epicentro di un’azione aperta al pubblico: la casa si è aperta nelle sembianze di una sala da posa dove offrire un servizio gratuito e quotidiano di istantanee per gli abitanti e i lavoratori del quartiere”.
Arianna ha realizzato così 185 ritratti, 99 fototessere, 35 ritratti di famiglia e 6 photo-book. Parallelamente, proseguiva (con chi lo voleva) il progetto “Carte de Visite”, omaggio alla prima forma di fotografia di massa brevettata nel 1854 da André Adolphe Eugène Disdérì. Ma è stato il lato sociale è stata la parte più gratificante. “Ascoltare le loro storie, vederli ritornare a trovarmi o anche solo osservarli mentre felici ritiravano le loro foto è stata per me una felicità. In quei momenti pensavo che il progetto stava funzionando come lo ero immaginato. Ovviamente questa parte rimarrà ”nascosta” al pubblico esterno ma è quella che poi mi ha arricchito di più e che mi spinge a fare lavori di questo genere”. Ascoltare, assorbire, raccontare storie: spesso tutto parte da lì. “E di queste ce ne sono alcune che mi hanno colpito più di altre. E’ un quartiere ‘colorato’ e quindi è normale trovare storie particolari”. Come quella della prima coppia che ha messo piede in residenza. “Dopo giorni di promozione in cui iniziavo anche un poco a preoccuparmi per la scarsa risposta mi citofona questa coppia marocchina, volevano fare una foto insieme. Facciamo la foto e mentre scatto mi raccontano che si erano sposati settimana scorsa. La festa non c’era stata perché qui non hanno parenti ma, appena possibile, sarebbero tornati in Marocco a festeggiare con amici e famiglie. Insomma, la mia era la loro prima foto post-matrimonio, l’unica che avevano e avrebbero spedito ai parenti. Per me è stato un privilegio potergliela fare”.