Nascere e crescere nel Nordest crea un rapporto di odio e amore, quasi morboso con il treno. Unica alternativa all’auto per raggiungere il resto d’Italia, può diventare un compagno più o meno fedele nella vita universitaria fuori sede. Ma anche nel nostro Paese è piovuta dal cielo una terza possibilità per spostarsi via terra: qualcuno decide di condividere le spese del viaggio in macchina, pubblica un annuncio su internet e aspetta di essere contattato da chi ha bisogno di un passaggio. Si chiama “ride sharing” (condivisione del viaggio) e il sito più conosciuto per questo servizio – con relativa app per smartphone – è Blablacar, che nel resto d’Europa sta già spopolando.
Per andare da Pordenone a Milano, alla redazione del Fatto.it, un passaggio in auto può essere un’ottima soluzione. Ma chi va dal Friuli alla Lombardia un mercoledì mattina e mette un annuncio su Blablacar? Nessuno, almeno quando a Milano ci devo andare io. E allora bisognerà fare una levataccia, bicicletta fino alla stazione e poi treno. Ma per tornare a casa il passaggio c’è. L’ha pubblicato Stefano, partirà nel pomeriggio da una stazione della metropolitana. Perfetto, ci sentiamo al telefono e ci accordiamo. Mi chiederà 20 euro per tornare a Pordenone. Al mattino, per il biglietto del Frecciabianca ne ho spesi 44.
La giornata a Milano è andata. Esco dalla redazione, vado a prendere la metro. In meno di 20 minuti sono alla fermata concordata. È in un’ottima posizione per raggiungere l’autostrada. Aspetto Stefano che arriva puntuale, ci sono altre due ragazze che viaggeranno con noi. Si parte, e parte la conversazione. Uno degli aspetti più interessanti del ride sharing è la comunità che si crea in macchina, e si conoscono persone di ogni tipo. Stefano, per esempio, è un manager in una grossa casa editrice.
Nei viaggi precedenti ho conosciuto universitari, chi gira il mondo con il couchsurfing, chi cerca un passaggio verso una città europea a caso, chi con il car pooling va a trascorrere un weekend fuori porta, chi si muove per lavoro e vuole risparmiare, ma soprattutto stare in compagnia. I chilometri sulla A4 scorrono veloci, dalle parti di Verona ci fermiamo a bere il caffè e poi dritti verso Pordenone. Stefano mi lascia alla stazione dove al mattino ho lasciato la bicicletta. Gli do i venti euro e ci scambiamo i contatti, con la promessa di risentirci.
Ripensandoci, anche questa volta in macchina qualcuno ha posto la domanda che ho sentito in tutti i viaggi con il ride sharing: di cosa vive Blablacar se noi non paghiamo niente per il servizio? E come paga le pubblicità in tivù? Mi sono fatto rispondere da Olivier Bremer, general manager di Blablacar, che ha svelato il “mistero”. Al momento in Italia non c’è un modello di business, l’azienda sta vivendo sugli investimenti. Ma le cose cambieranno a breve.
Perché la pacchia è finita, per chi non ha preso la cosa seriamente, e i conducenti potranno tirare un sospiro di sollievo. Dal 2015, come già avviene in Francia e Spagna, i passeggeri pagheranno il loro posto in macchina prima del viaggio. In sostanza, stop ai contanti. Si farà un versamento anticipato con carta di credito, che verrà girato al conducente una volta arrivati a destinazione. Più circa il 10% di commissione, sempre a carico del passeggero, che andrà a Blablacar.
Un business di sicuro reddito, perché gli utenti del ride sharing in Europa sono 11 milioni. Sull’Italia non ci sono ancora dati precisi ma si stima siano intorno al milione, con ritmi di crescita del 300% dal 2012. Come ha sottolineato Bremer, una volta superata la diffidenza iniziale per qualcosa di nuovo, il servizio diventa una vera alternativa ai classici mezzi di trasporto. “Problemi di sicurezza non ce ne sono – ha assicurato – perché il sistema di valutazione reciproca degli utenti con i feedback funziona bene. In più c’è un monitoraggio continuo. In Francia, ad esempio, il 25% della popolazione tra i 20 e i 30 anni usa Blablacar”. Percentuale che si potrà raggiungere anche in Italia. Spinta dalla voglia di risparmiare, di fare nuove conoscenze e, perché no, di viaggiare puntuali.