Dalla Germania ai Paesi Bassi, il "social housing" non passa necessariamente per lo Stato e i Comuni. E ci si sforza di creare "mix sociali" invece di quartieri ghetto. Ma scendendo a sud la situazione peggiora. L'esperta: "In Italia patrimonio abitativo pubblico in pessimo stato per colpa della politica"
In Italia l’Unione Inquilini stima che siano 700mila le famiglie in graduatoria, in attesa di entrare nelle case popolari. Spesso da anni. Ad Amsterdam, invece, circa la metà degli abitanti vive in abitazioni con un canone concordato, in media di 60 euro al metro quadro l’anno. E le liste d’attesa sono ridotte al minimo. È il “social housing“, la versione europea della casa popolare. Un modello che funziona nel Nord, ma che a Sud non ha attecchito. Non a caso, nell’Europa meridionale in media più del 60-70% ha una casa di proprietà: le case popolari sono solo per i poveri. In gran parte dei Paesi europei assegnazione e gestione dell’alloggio “sociale” non passano per forza dal pubblico. Nei Paesi Bassi, come in alcuni Land tedeschi, sono le stesse cooperative sociali a gestire anche le assegnazioni. E il criterio economico non è l’unico modo per avere accesso a una casa a canone moderato: in Germania e in Inghilterra ci sono categorie protette come gli anziani, oppure quartieri dove si assegnano case a un certo tipo di lavoratori. In Svezia le contrattazioni sono condotte dai Comitati di inquilini con le cooperative, in Olanda la classifica viene stilata a seconda della tipologia della casa che si affitta, in modo da garantire “un mix sociale” all’interno dei quartieri.
Un patrimonio pubblico insufficiente. Nonostante otto spagnoli su dieci abbiano diritto a chiedere l’ingresso in una casa popolare, il peso nel mercato della casa degli alloggi convenzionati è solo del 3%. In Olanda sfiora il 50%, mentre l’Italia è a metà strada: “Con i nostri ritmi, per poter smaltire la lista d’attesa delle case popolari ci vorrebbero 700 anni”, commenta Massimo Pasquini, segretario dell’Unione Inquilini di Roma. Le nuove case popolari ogni anno, infatti, non sono che mille, rispetto ad una domanda che continua ad aumentare. “Il nostro patrimonio – spiega la ricercatrice dell’Università Bicocca Roberta Cucca, sociologa esperta di politiche urbane – è del 20% inferiore rispetto alla media europea. Le nostre istituzioni sono state assenti, non hanno governato il problema della casa”. Risultato: il patrimonio che s’è salvato ha perso valore ed è un pessimo stato. E i soldi, come al solito, non ci sono.
La vergogna d’Europa. Se la tensione sociale nei quartieri popolari s’è tanto alzata, tra le cause ci sono le occupazioni abusive. Ogni casa sfitta è una potenziale occupazione: l’Europa, non solo l’Italia, ne è disseminata. Undici milioni: a tanto ammontano, secondo una stima del Guardian del febbraio 2014. I senza fissa dimora, giusto per dare un paragone, sono 4,1 milioni. In Italia, senza inquilini ci sono tra i 2 e i 2,7 milioni di abitazioni, come in Francia. “Più del doppio delle persone che aspettano di vedersi assegnata una casa popolare”, nota Pasquini. Peggio di noi, sempre la Spagna, con 3,8 milioni di case, seguita dalla Germania con 1,8 milioni. “Per questo motivo dobbiamo smettere di fare piani regolatori e recuperare il patrimonio immobiliare dismesso che abbiamo“, aggiunge. Le generazioni s’impoveriscono e la casa diventa un lusso, eppure l’Italia in questi anni è sempre stata un Paese che ha spinto a comprare il mattone, invece che favorire affitti a prezzi bassi. “Ora però nessuno è in grado di comprare”, continua Pasquini.
Il “social housing all’amatriciana”. Roma e Milano da 15 anni provano a imitare i modelli del Nord Europa, scegliendo particolari categorie di destinatari dei bandi per le assegnazioni. Dal condominio per i padri separati, alle case per gli studenti fuori sede, fino al condominio per le coppie giovani. Nella capitale questi sono stati gli effetti, per Massimo Pasquini: “È stata una truffa, un modo per continuare a far costruire anche con i soldi pubblici. Un social housing all’amatriciana”. Milano non è da meno, con i programmi di edilizia popolare Abitare 1 e Abitare 2, due ambiziosi progetti di edilizia residenziale a canone moderato. “L’amministrazione locale ne ha parlato con molta enfasi – spiega Roberta Cucca – sottolineando l’obiettivo di costruire un mix sociale, in cui alle persone con difficoltà economica si avvicina una classe media vulnerabile. Il risultato paradossale è che nella parte riservata a questi ultimi i canoni erano troppo elevati, quindi nessuno ha acquistato”.
Il Grand tour d’Europa: squatter e liste d’attesa infinite. Tutta l’Europa è attraversata dalla fame di case a basso costo e ogni capitale ha i suoi problemi. Londra, una volta, era il paradiso delle occupazioni: gli squatter, gli occupanti, se dimostravano che la casa era sfitta e non provocavano danni all’edificio, potevano restare. Fino al 2012, quando il governo di David Cameron ha modificato la legge: ora chi ci prova rischia sei mesi di carcere e 6mila euro di multa. La tradizione però è difficile da dimenticare. Così è nato un sito per le “occupazioni legali”, a 60 pound la settimana. Si chiama Guardians of London e permette ai proprietari di stabili sfitti di siglare un conveniente contratto di affitto con locatari temporanei che avranno, tra gli altri, il compito di tenere lontani possibili occupanti abusivi.
A Parigi, il signor Armand aspetta una casa popolare dagli anni Novanta. In francese si chiamano Hébergement à loyer modéré, HLM. “Signor ministro – scrive un anno fa in una lettera indirizzata al ministro della casa dell’epoca, Cécile Duflot, raccolta dal giornale Rue89 – ho l’onore di annunciarvi come anticipato dalla precedenti missiva che mi sono auto assegnato un appartamento”. Lo stabile apparteneva alla Régie immobiliere de la ville de Paris, una delle cooperative che per conto del Comune gestisce il patrimonio immobiliare. Era vuota da tre mesi e il signor Armand ha deciso che era sua di diritto. Non si sa come sia finita la sua storia, ma quel che è certo sono le difficoltà che la società RIVP ha nel gestire l’assegnazione degli alloggi. Su 140mila richieste, ne soddisfano solo 10mila, secondo i loro dati. Chi resta escluso, così come accade in Italia, occupa: nella regione dell’Ile-de-France, dati 2011, il 36% delle occupazioni è fatto a Seine-Saint-Denis, uno dei dipartimenti delle banlieue attorno a Parigi.
Anche Berlino è dovuta correre ai ripari. Dopo essere diventata il porto per i giovani di mezza Europa, soprattutto del Sud, in cerca di un riscatto, i prezzi delle sue abitazioni hanno cominciato a lievitare. E l’unico modo per offrire una soluzione economica ai berlinesi era finanziare nuova edilizia pubblica. Presto detto: ad ottobre 2013 l’amministrazione comunale ha investito un miliardo di euro per realizzare 28 mila case popolari. Quante ne ha in gestione oggi il Comune di Milano.