Tasse troppo alte costringono Sonia Mereu, 40 anni, ad abbandonare la sua attività. Prima, però, vuole condividere quanto ha imparato finora. "La precarietà mette in crisi il mio essere donna. Ma io non cedo a questo ricatto e mi rimetto in gioco"
Ci sono due tipi di librerie. Quelle ordinate, dove tutto è catalogato, preciso, altre in cui tutto è più caotico, dove sembra quasi che non sia tu a scegliere il libro, ma il libro a scegliere te.
Pecore Elettriche è una libreria del secondo tipo, è a Torino e vende testi rigorosamente usati. Sonia Mereu, 40 anni, la proprietaria, ogni tanto pubblica un annuncio sulla sua bacheca. “Oh, voi che amate i libri, venite a darmi una mano a sistemare questo caos? Vi offro merenda al bistrot e un chilo di libri.”
Posate la borsa se l’avete già agguantata per precipitarvi. La libreria sta chiudendo i battenti. Ma anziché voltare pagina e dimenticare il passato, Sonia ha deciso di non sprecare le sue conoscenze acquisite e di metterle in condivisione.
“Questo è un po’ il mio riscatto – spiega. – Tutto quello che so su questo mestiere l’ho imparato da sola, nessuno mi ha mai spiegato nulla e ho pagato gli errori sulla mia pelle. Così ho pensato che magari potevo rendere la vita più facile a chi vuole fare il libraio dopo di me. E’ nato così il corso. Ho pubblicato un annuncio invitando gli interessati a partecipare e ho buttato giù una scaletta di lezioni”.
Sonia comincia a lavorare nella sua libreria nel 2006 come dipendente con contratto a progetto. Nel 2008 rileva l’attività, ma l’avventura non va come sperato e neppure cambiare zona, trasferendosi dal centro più a nord, alla Vanchiglia, serve. “La situazione è degenerata, non sono più finanziabile. Mi sono data i classici cinque anni commerciali, che in economia è il periodo dopo il quale si tirano le somme per capire se un’attività è in perdita. E la mia lo è. Troppe tasse”.
Una delle prime lezioni del corso per librai è sul coraggio. Il coraggio necessario a fare impresa, il coraggio di offrire al pubblico libri alternativi a quelli delle sei-case-editrici-sei che detengono il 75% del mercato italiano. Il coraggio di osare. Sonia l’ha imparato a suo discapito. Per lei gli e-book sono solo una fase, ma le librerie devono cambiar pelle, offrire dolci, vino, musica oltre a buone letture e non tutti insieme. “Il mio obiettivo è che la mia esperienza possa stimolare delle idee in chi intende fare questo mestiere; magari ascoltandomi gli si illumina la lampadina per una start up innovativa. E’ ora che si abbandoni l’idea del libraio con la matita dietro l’orecchio che legge dal mattino alla sera. Ormai io riesco a leggere solo un libro a settimana”.
La seconda lezione è un’iniezione di concretezza sugli aspetti burocratici da affrontare. “Io mi sento completamente vessata, se guadagno 10 euro so che devo pagare le tasse, che guadagno per altri, che alzo la serranda per qualcun altro che non sono io. Per questo chiudo”. Il corso è gratuito (ma sono benvenute offerte di scatoletta di cibo per gatti o cibo vegan) e proseguirà fino a Natale. Chi vuole unirsi, può farlo trovandosi in via Guastalla 13bis a Torino ogni mercoledì dalle 10 alle 12. Per ora la classe è composta da una decina di aspiranti libraie, tutte donne, tutte ansiose di aprire la loro impresa.
Ma l’ansia non conta. Conta solo la determinazione. E sapere che puoi ritrovarti a quarant’anni senza avere di che pagare l’affitto, dovendo magari tornare dai tuoi. “La precarietà mette in crisi il mio essere donna perché sento che è minacciata la mia indipendenza, la mia autonomia, la mia libertà di fare delle scelte. Mi sento come se lo Stato cercasse di indurmi a fare quello che lui non è più in grado di dare: assistere gli anziani, assistere i figli. Come se le donne dovessero sopperire alla mancanza di servizi. Ma io non cedo a questo ricatto. Prendo atto che si è chiusa una fase della mia vita e mi rimetto in gioco”.
Terminato il corso e chiusa per sempre la libreria a dicembre, con una laurea di Economia nel cassetto e due lingue, partirà a caccia di una nuova idea di impresa. Farà un’esperienza all’estero, in un’azienda turistica sostenibile trovata attraverso Workaway, network di chi dà lavoro e offre in cambio vitto e alloggio. Ancora uno scambio, dunque. “Sì, Credo che l’economia della condivisione sia l’unica alternativa alla precarietà, l’unica soluzione per sopravvivere. La rete di amici e conoscenti che ho è il vero Stato per me. Chi ti aiuta a stare a galla e a risalire, non ad affondare”.