L'ex ministro ha ceduto a 1,63 milioni il 'mezzanino' che nel 2004 aveva pagato 610mila euro con l'aiuto "a sua insaputa" della 'cricca' di Anemone. Che aveva colmato la differenza per l'acquisto da 1,7 milioni
Alla fine Claudio Scajola è riuscito a vendere la sua casa al Colosseo. Il 16 ottobre scorso la moglie dell’ex ministro, con delega del marito, ha firmato davanti al notaio Paolo Becchetti l’atto di vendita dell’appartamento al primo piano con vista sui fori imperiali. Scajola si è messo in tasca un milione e 630mila euro, dei quali 50mila riferiti ai mobili presenti nell’appartamento. Nel luglio del 2004 l’allora ministro dello Sviluppo Economico aveva pagato solo 610mila euro. Quindi a distanza di dieci anni, dopo un processo per finanziamento illecito chiuso in appello con la prescrizione dopo l’assoluzione in primo grado, Scajola ha incassato una plusvalenza di 970mila euro, escludendo i 100mila euro dei lavori fatti dieci anni fa e che sarebbero stati pagati da Anemone secondo l’accusa, contestata da Scajola e non accolta in primo grado. Sono 97mila euro all’anno per dieci anni, tutti esentasse.
E’ un po’ come se qualcuno avesse pagato un secondo stipendio da 8mila euro netti al mese per dieci anni a Scajola che stavolta non può nemmeno dire che ciò sia avvenuto ‘a sua insaputa’. Ormai anche lui avrà compreso che il prezzo realmente pagato nel 2004, come dichiarato dalle venditrici alla Guardia di Finanza, è stato di un milione e 700 mila euro. Scajola il 7 luglio del 2004 nel suo ufficio al ministero ha versato di tasca sua per l’appartamento di 180 metri soltanto i miseri 610mila euro dichiarati davanti al notaio Gianluca Napoleone, giunto appositamente al ministero come le venditrici e l’immancabile architetto Angelo Zampolini che ha tirato fuori gli assegni circolari offerti da Anemone e compagni per colmare la differenza. Alla fine il regalo del 2004 della ‘Cricca’ di Anemone arriva quasi a coprire la plusvalenza realizzata da Scajola con l’atto depositato in conservatoria il 3 novembre scorso.
In realtà Scajola era riuscito a spuntare molto di più. Al Fatto risulta che il 18 aprile 2012 l’ex ministro aveva firmato un preliminare con l’imprenditrice della sanità Jessica Veronica Faroni, direttore generale del Gruppi INI, titolare di cliniche sparse tra Roma, Guidonia e Grottaferrata. Il prezzo stabilito nel preliminare era di 2 milioni di euro. La dottoressa Faroni consegnò alla firma del preliminare un assegno circolare Unicredit di 250mila euro come caparra però poi si accorse che qualcosa nelle pratiche urbanistiche non collimava e iniziò una contesa.
Il 27 marzo 2013 Scajola e Faroni chiudono le liti con una scrittura privata nella quale si danno reciproco atto che a “fronte della mancata corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile rispetto ai dati catastali e alle planimetrie depositate con particolare riferimento al locale cucina (…) concordavano una riduzione del prezzo da 2 milioni a un milione e 800 mila euro”. In compenso la promittente acquirente si dichiarava disponibile a “acquistare tutto il mobilio e gli arredi presenti nel suddetto immobile per un importo di 50 mila euro”.
Per cautelarsi dai rischi del procedimento penale a carico di Scajola, si concordava di dare mandato al notaio Becchetti per incassare 1,2 milioni come deposito “onde scongiurare il rischio di sequestro dell’immobile”. Nulla di tutto ciò è accaduto e Scajola ha potuto portare a termine la vendita. Però a comprare alla fine è stata una società: Italy Hotels and Suites Srl, costituita il 24 settembre 2014 amministrata da Luca Nicolotti che ne detiene solo una quota dell’uno per cento mentre il restante 99 per cento è intestato alla Fid. Italia Srl, una società fiduciaria che scherma la proprietà. Il prezzo è stato pagato, come risulta dall’atto, per 580mila euro con assegni circolari di un conto acceso al Monte dei Paschi di Siena mentre un milione e 80mila euro provengono dai circolari di un conto acceso all’Unicredit. Uno di questo assegni, pari a 250mila euro, ha lo stesso numero di quello consegnato come caparra nel 2012 dalla dottoressa Faroni.
Scajola ha pagato all’agenzia immobiliare Tevere Srl un compenso di 76mila euro e l’agenzia ha iniziato un contenzioso legale per ottenere il pagamento di una provvigione anche dalla dottoressa Faroni, per il preliminare di vendita. L’imprenditrice però si è rifiutata e la causa è in corso. A marzo dovrebbe esserci una nuova udienza. “Il Tribunale per due volte ha rigettato la richiesta di decreto ingiuntivo”, spiega Jessica Veronica Faroni.
Che fine faranno ora i soldi? Al Corriere della Sera nel settembre del 2010 Scajola aveva promesso: “Vendo la casa e offro la differenza in beneficenza”. Poi nel maggio del 2012, dopo la firma del preliminare, al Fatto aveva rettificato: “Sto valutando un gesto ancora più forte, ma che non vi posso dire adesso, lo dirò nel momento in cui farò il rogito. Io quello che prometto lo mantengo sempre”. Il Fatto ha provato a contattare Claudio Scajola, nel frattempo uscito dagli arresti disposti per la vicenda Matacena e sottoposto solo all’obbligo di dimora. Al telefonino risponde la sua voce registrata: “Non sono al momento raggiungibile”.
Da Il Fatto Quotidiano del 14 novembre 2014