La ricerca sulla malattia non si ferma. La chiave è rappresentata dalle cellule staminali. Un team di ricercatori della Harvard University è riuscito a trasformare staminali embrionali in cellule beta del pancreas capaci di produrre, al momento solo nei topolini secondo quanto pubblicato su Cell, l’ormone insulina
Una vera e propria epidemia. Questo il paragone adoperato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon per descrivere l’aumento dei casi di diabete nel mondo. Secondo l’International Diabetes Federation, ogni anno i morti per diabete sono 5 milioni e 382 milioni le persone, tra i 20 e i 79 anni, che convivono con la malattia, di cui quasi 4 milioni in Italia e 56 in Europa, che ha la più alta prevalenza di bambini con diabete di tipo 1. Le proiezioni mondiali, rese note in questi giorni in occasione del World Diabetes Day, indicano che entro il 2035 i casi potrebbero salire a 592 milioni, un aumento del 55%, con una stima della spesa sanitaria annuale pari a 550 miliardi di dollari.
Numeri che danno la misura del forte impatto del diabete sulla vita quotidiana dei pazienti.
Gli esperti hanno provato a quantificare le ricadute sociali della malattia con il progetto “Dawn” (Diabetes attitudes wishes and needs), i cui ultimi risultati sono stati presentati a settembre in occasione del 50esimo congresso della European association for the study of diabetes (Easd), svoltosi a Vienna. Dall’indagine, che ha interessato 15mila persone di 17 Paesi tra pazienti, familiari e operatori sanitari, emerge come il diabete possa provocare forti disagi in chi è costretto a convivere con la patologia. Un malato su cinque si sente, ad esempio, discriminato a causa della malattia. Il 65% dei pazienti italiani intervistati lamentano, inoltre, un impatto negativo della malattia sul proprio benessere fisico, e uno su due anche su quello psicologico. Preoccupa, ad esempio, la possibilità di un calo improvviso della glicemia, tanto da provocare in quasi il 20% dei malati leggere forme di depressione. Un rischio da cui non sono immuni i familiari, che spesso sentono la frustrazione di non poter essere d’aiuto ai propri cari. “Si tratta della prima indagine che pone particolare attenzione agli aspetti psicosociali della gestione del diabete – sottolinea Salvatore Caputo, presidente di Diabete Italia -, contribuendo a modificare il modo in cui noi medici guardiamo alla malattia”.
Ma quali sono le cause e i principali fattori di rischio del diabete? Secondo uno studio condotto dalla Lund University svedese, in collaborazione con la Yale University School of Medicine Usa e la University of Helsinki, pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet e intitolato “Le molte facce del diabete: una malattia che rivela una sempre maggiore eterogeneità”, la tradizionale distinzione in due categorie – il diabete di tipo 2, che compare nell’adulto e di tipo 1, che colpisce, invece, le persone giovani – sarebbe in realtà superata. Gli autori affermano, infatti, che “le due forme di diabete rappresentano probabilmente solo gli estremi di un range di varie forme della malattia. Le cause – si legge nello studio – vanno ricercate in una commistione tra genetica e ambiente. Nonostante la predisposizione genetica, infatti, gli stili di vita, soprattutto l’obesità, sono la spiegazione più plausibile dell’aumento dell’incidenza della malattia, anche tra gli adolescenti”. In base alle stime dell’International Diabetes Federation, infatti, “il 70% dei casi di diabete di tipo 2 può essere prevenuto o ritardato con l’adozione di un’alimentazione più salubre e una maggiore attività fisica. Mezz’ora di esercizi al giorno, ad esempio, può ridurre del 40% il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Uno stile di vita più salutare – stimano gli esperti – potrebbe ridurre di 150 milioni i casi di diabete entro il 2035”. “Invece, nel mondo – sottolinea Ban Ki-Moon – ci sono ancora persone che muoiono perché non hanno accesso all’insulina, malgrado siano passati circa cento anni da quando questo ormone è stato usato per la prima volta per salvare la vita di un paziente diabetico”.
Ma a che punto è la ricerca sul diabete? Un team di studiosi della Boston University ha messo a punto un pancreas bionico in grado, secondo quanto pubblicato su The New England Journal of Medicine, di ripristinare la corretta glicemia in pazienti affetti da diabete giovanile meglio dei tradizionali sistemi di rilascio d’insulina. Un metodo che non è comunque risolutivo. La vera chiave è rappresentata dalle cellule staminali. La ricerca in questo campo sta facendo molti progressi. Un team di ricercatori della Harvard University, coordinati da Doug Melton, che ha due figli diabetici, è riuscito a trasformare staminali embrionali in cellule beta del pancreas capaci di produrre, al momento solo nei topolini secondo quanto pubblicato su Cell, l’ormone insulina. “Siamo riusciti a fare qualcosa che non credevamo possibile – spiega Melton -. I miei figli, però, non sono rimasti molto colpiti – conclude lo scienziato a capo del gruppo di ricerca -. Credo che, come tutti i ragazzi abbiano pensato semplicemente che, visto che glielo avevo promesso, l’ho fatto”.
Lo studio su The New England Journal of Medicine