Kideville è un innovativo sistema di insegnamento creato da Dejan Mitrovic e Alberto Rizzoli. “Si trova in sei scuole del Regno Unito come pilot, una prova. Poi sarà distribuito in tutto il Paese e si spera anche all'estero"
Modernizzare l’educazione nelle scuole. È questo l’obiettivo principale di Kide, startup londinese fondata da Dejan Mitrovic, designer di 30 anni e Alberto Rizzoli, neolaureato in business management, di 20. Per raggiungerlo, hanno dato vita al progetto Kideville, un innovativo sistema di insegnamento che permette agli studenti di ottenere competenze di tecnologia e design e avvicinarli all’uso delle stampanti 3d. “Il nostro scopo è quello di permettere ai bambini dagli otto ai dodici anni di acquisire le capacità per diventare piccoli ingegneri, artigiani, designer, manifatturieri”, spiega Alberto, che ha illustrato il progetto anche dal palco della Maker Faire Roma 2014 durante la conferenza “20 under 20” dedicata ai giovani innovatori.
E se in alcuni Paesi, come il Regno Unito, il governo sta incentivando l’uso delle stampanti 3d all’interno delle scuole, molto spesso i docenti si trovano impreparati. E qui interviene Kideville: “Abbiamo creato un sistema educativo nel quale un insegnante, anche senza aver mai visto una stampante 3d in vita sua, può facilmente gestire una classe fino a 36 studenti per avvicinare i bambini all’utilizzo di questi strumenti, facendogli creare qualcosa da zero, a partire da una loro idea”, puntualizza Alberto.
Il tutto attraverso il kit che la startup produce, frutto dell’esperienza di 5 anni di workshop in musei, scuole ed eventi. “È una vera e propria classe in una scatola – spiega Alberto – contenente diversi materiali didattici: una guida per l’insegnante, presentazioni e una scaletta ben precisa di quello che deve fare un docente per poter insegnare a usare la stampante in 3d, oltre che consigli su cosa fare se il ragazzo si blocca”. Ma l’apprendimento vero e proprio dell’alunno si basa su una sorta di gioco di ruolo. Scopo della classe, attraverso anche il confronto e la discussione, è infatti quello di costruire una città su un’isola dove ogni studente posizionerà il suo edificio “stampato”, che avrà in precedenza anche progettato, disegnato e modellato in 3d cad.
Il costo previsto è di 350 sterline “per 36 studenti, per almeno un anno”. E se la stampante 3d non è presente nell’edificio scolastico, viene anche data la possibilità di affittarla. Il progetto della startup, la cui età media dei lavoratori è di 24 anni, per il momento “si trova in sei scuole del Regno Unito come pilot, una prova. Poi sarà distribuito in tutto il Paese e si spera anche all’estero”. E il riscontro, assicura Alberto, è già positivo: “I ragazzi così sono molto più motivati ad apprendere: sono interessati alla tecnologia e al gioco che gli dà la possibilità di creare qualcosa di loro, senza che gli venga detto specificatamente cosa. Scelgono l’edificio in base alle proprie passioni: un bambino appassionato di calcio, ad esempio, è stato stimolato ulteriormente quando gli è stata assegnata la creazione di uno stadio“.
E se il Regno Unito sta puntando molto sulle nuove tecnologie, l’Italia a che punto si trova? “Spero che si inizi a parlare di più di portare tecnologie concrete all’interno delle scuole anche nel nostro Paese– spiega Alberto –. E lo dico da studente che di recente ha avuto la possibilità di dare un’occhiata a un altro sistema educativo, quello inglese, che in paragone a quello italiano è equipaggiato in maniera migliore. C’è da considerare, poi, che chi entra ora a scuola si troverà sempre di più a dover competere su scala mondiale”. Ovvero “con persone che hanno iniziato ad acquisire già dagli otto-nove anni competenze che in Italia si imparano all’università”.