“Quelle teste di minchia che sono qua sotto, che sono i servi della gleba di un’altra casta molto più potente della nostra”. E poi ancora: “Io guardare Report? Con quella troia della Gabanelli! Appena la vedo mi viene l’orchite”. Era il 2012. L’allora capogruppo del Partito democratico Marco Monari in Regione Emilia Romagna parlava così dei giornalisti che in quei giorni fuori e dentro il palazzo erano alla ricerca di notizie. Il dialogo, finito agli atti dell’inchiesta per peculato della procura della Repubblica di Bologna sui rimborsi dei gruppi del consiglio regionale dell’Emilia Romagna, è stato registrato di nascosto dall’ex consigliere M5s Andrea Defranceschi durante una riunione del 26 settembre 2012. “Ma loro (i giornalisti, ndr) non lo sanno”, continuava Monari, “sono pagati in nero, 8 euro a pezzo, darebbero via le chiappe pur di firmare perché pensano legittimamente, son tutti ragazze e ragazzi giovani, a una prospettiva di carriera quindi a loro li perdono. A chi li strumentalizza purtroppo no, ma io non sono Beppe Grillo, non ho un microfono e un palco, non lo riesco a dire, lo dico qua”. L’audio, assieme anche alla registrazione di un incontro a due con un dirigente della Regione, fu portato da Andrea Defranceschi alle pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari che hanno indagato per due anni, coordinate dal procuratore aggiunto Valter Giovannini sotto la supervisione del procuratore capo Roberto Alfonso. Defranceschi registrò gli incontri all’insaputa degli altri capigruppo e sia lui che Monari sono tra i 41 indagati.
Il dialogo avviene in un momento delicato. Al settimo piano dei palazzi di viale Aldo Moro il clima è da bunker sotto assedio. In molti tra i presenti sono già stati interrogati. Altri di lì a poco incontreranno gli inquirenti: “Alle tre devo andare in caserma dalla Guardia di finanza, ragazzi”, dice uno dei capigruppo. Marco Monari, che si sarebbe dimesso dal ruolo un anno dopo, quando uscirono le prime notizie su cene e trasferte in alberghi e ristoranti di lusso, è uno di quelli che parla di più durante la riunione. E torna spesso sul tema giornalisti: “Non sono neanche Berlusconi, perché se fossi Berlusconi con cinque reti andrei tutte le sere in televisione a dire che quelli della carta stampata sono delle teste di cazzo”. Il primo ottobre 2012 c’è una seconda riunione. I microfoni ufficiali sono ancora spenti. Niente verbali. Ma Defranceschi registra ancora: “Io cercavo di guardare la Domenica sportiva, ma mia moglie diceva: ‘No guardiamo’…”, racconta l’allora capogruppo Pd non sapendo di essere registrato. A questo punto si sente la voce di Defranceschi: “Come, invece di guardare Report?”. E Monari gli risponde: “Report, con quella troia della Gabanelli! Appena la vedo mi viene l’orchite. No io volevo vedere Gilardino, ma mica me l’hanno fatta vedere”.
Poi si entra nel merito delle spese contestate dalla magistratura, che in quelle settimane fece sequestrare interi furgoni di faldoni pieni di scontrini e fatture: “Ora, tutto quello che è stato fatto fino adesso è difficile da spiegare”, dice Monari. L’allora presidente dell’Assemblea legislativa e oggi deputato Matteo Richetti (anche lui indagato nell’inchiesta), mette subito le cose in chiaro dal suo punto di vista: “Non nascondiamoci… la parte più critica delle spese ce l’abbiamo proprio su questo: pranzi, cene e rimborsi chilometrici”. Ancora Monari, il 26 settembre ragiona coi colleghi sul fatto che ogni loro rimborso è tracciato: “Perché c’è lo scontrino al gruppo ragazzi, c’è! C’è, cioè è inutile che ci guardiamo con le facce beote eccetera, c’è! C’è, c’è lo scontrino del Pub, c’è lo scontrino del panino… c’è lo scontrino”. Infine Monari ragiona sulla impossibilità di gestire da parte sua le spese di 25 colleghi di partito (in 18 sono indagati del Pd): “Non posso sapere che cazzo fanno 25 consiglieri regionali dalla mattina alla sera in giro per l’Emilia Romagna, non lo posso sapere e soprattutto non lo voglio sapere”.
Dopo la rivelazione del contenuto delle registrazioni, il capogruppo Pd ha fatto una nota: “Chiedo scusa ai giornalisti per le frasi infelici a loro riferite: si è trattato di parole inqualificabilmente carpite in un contesto informale. Era un periodo di fortissima pressione emotiva sono concetti che non penso, né ho mai pensato, della categoria e dei professionisti con cui ho vissuto in rapporto per tanti mesi e per tanti anni. Chiedo scusa e mi dispiace”.
aggiornato dalla redazione web il 15/11/2014