Sento di essere legato a Folco Terzani, forse perché come lui mi considero uno scarto del sistema, un prodotto che l’industria culturale occidentale non è riuscita ad incartare, ad apporvi un prezzo ed esporre in vendita sugli scaffali di questa società usa e getta. Folco si è laureato a Cambridge, un privilegio che gli avrebbe dato la possibilità di seguire quella prospettiva che a tanti giovani oggi è stata inculcata come un sogno: indossare una costosa cravatta e lavorare in una grande banca o multinazionale per tutta la vita con il fine di produrre e guadagnare il più possibile.
Non è facile decostruire il pensiero unico dominante, Folco ha trovato, dopo un periodo di tormenti interiori, un’altra via lasciando Cambridge e volando a Calcutta dove ha conosciuto Madre Teresa e lavorato con lei insieme ai morenti. In quella semplicità e sofferenza, tenendo la mano a chi lasciava un mondo che non gli aveva garantito nemmeno la sopravvivenza, ha imparato la lezione più importante che nessun docente a Cambridge gli aveva impartito: la compassione. Cioè quella capacità di immedesimarsi nell’altro. Nei bassifondi della storia, Folco ha trovato il senso della vita che per anni aveva invano cercato studiando tra le pareti ovattate di Cambridge dove la classe dirigente in una sorta di staffetta sociale si passa in eredità il potere.
Dopo Calcutta ha continuato il suo percorso di consapevolezza andando a vivere nella giungla con degli asceti indiani (i Sadu) dove ha vissuto nella natura seguendo i suoi ritmi, le sue regole apprezzandone la sua immensa generosità e la bellezza dei suoi elementi.
Proprio tornando a contemplare la natura si può trovare l’antidoto alla nostra società compulsiva dove tutto è diventato merce e l’obiettivo finale è accumulare. Gli animali, le piante non hanno questa brama che noi abbiamo spinto fino al parossismo se si analizzano i nostri tempi dominati dalla finanza. Un simbolo che esprime bene come sia nefasta la corsa infinita alla capitalizzazione è quello della manna (Es 16), quando il popolo ha avuto fame, Dio ha mandato la manna che doveva essere condivisa e non accumulata perché altrimenti qualcuno poteva rimanerne senza e quella raccolta marciva.
Ed è sintomatico che una società che si definisce cristiana siano dei non cristiani come Tiziano e Folco Terzani a scrivere con tanta profondità di condivisione delle risorse, di semplicità e di contemplazione del creato. Valori evangelici anestetizzati in riti ed istituzioni sovente tronfie di potere che non riescono ad esprimere la gioia della creazione che si può semplicemente assaporare assistendo il sorgere del sole. L’arduo lavoro di Papa Francesco sembra proprio quello di liberare la semplicità del messaggio di Gesù rimasto imprigionato dalle tante strutture costruite nei secoli in cui si è optato per il potere e non l’amore.
Nella prima parte del libro Folco narra del suo percorso tortuoso alla ricerca della pace interiore. E’ una narrazione emozionante, dalla quale trapela con forza una grande energia, un immenso desiderio di essere libero e di non farsi imprigionare in schemi e gabbie sociali.
In effetti, negli ultimi trent’anni, l’uomo ha troncato i legami con se stesso, con il prossimo, con la natura e con il proprio spirito. Tutto questo ha generato un uomo senza scopo e, quindi, infelice, che ha timore d’intraprendere nuove strade, che ha il timore di ciò che è diverso, che elabora pensieri sempre più brevi e scontati. Un uomo che, proprio come un animale nato e cresciuto nella gabbia di uno zoo, non desidera più la libertà perché ne ha dimenticato l’esperienza.
Il messaggio di Tiziano e Folco Terzani credo sia proprio quello di uscire dalla prigione di consuetudini e obblighi ed essere liberi d’intraprendere un percorso nuovo, unico non indicato da altri. Vivere un’esistenza che al momento della morte si possa ricordare con quella gioia che prova un bambino ripensando al suo ultimo giro di giostra.