Il governo studia un emendamento alla legge di Stabilità per introdurre l'imposta nel conto delle utenze energetiche. E starà all'utente dimostrare, eventualmente, di non avere la tv o altri mezzi con cui sia possibile vedere i canali della tv pubblica. Già in aprile però il presidente dell'Autorità per l'energia e il gas ha segnalato che sarebbe "improprio"
L’idea non è nuova. Di inserire il canone Rai nella bolletta elettrica, per recuperare un’evasione che sfiora i 600 milioni di euro l’anno, se ne era parlato in aprile, prima del varo del decreto che ha introdotto il bonus Irpef di 80 euro. Poi però non se ne è fatto nulla. Anche perchè Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, ha detto molto chiaramente che l’ipotesi era “impropria”: “Nella bolletta c’è già una voce di esazione che riguarda gli oneri generali di sistema”, ha spiegato, ma l’imposta dovuta da chi possiede un apparecchio che riceve il segnale della tv pubblica “non può essere qualificata come di interesse per il consumatore elettrico”. Un altolà, insomma, da parte dell’authority che ha il compito di promuovere l’efficienza del mercato energetico e gli interessi dell’utenza. Ma tant’è: Matteo Renzi, stando a fonti del governo citate dall’agenzia Public Policy, ha deciso che la riforma non può aspettare. Il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan presenterà un emendamento ad hoc al ddl di Stabilità, che dovrebbe prevedere lo spostamento del canone nel conto delle utenze energetiche ma una contestuale riduzione dell’importo richiesto: dagli attuali 113,5 euro a una cifra compresa tra i 35 e gli 80 euro, a seconda del reddito Isee (l’indicatore della situazione economica richiesto per l’accesso alle prestazioni sociali, anch’esso peraltro in fase di revisione). Non solo: uno dei punti chiave del nuovo corso consiste nel fatto che quella cifra sarà inserita in bolletta “a prescindere”. Starà all’utente l’onere di dimostrare, se del caso, di non possedere una tv o qualsiasi altro dispositivo, dal computer allo smartphone, da cui si possano vedere i canali Rai.
Inevitabile dunque un’altra rivolta, dopo quella divampata in luglio quando viale Mazzini ha ricominciato a inviare a imprese, società e uffici una raffica di lettere che sollecitavano il versamento di 407,35 euro a fronte del possesso di “apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive” in esercizi pubblici e locali aperti. Il cosiddetto “canone speciale“, al cui pagamento però, come chiarito da una circolare del 2012, sono tenuti solo i possessori di apparecchi tv e non chi usa per lavoro un pc, un tablet o uno smartphone.
Davanti alle voci sulla riforma in rampa di lancio il Codacons si è già fatto sentire, parlando di “barbarie nei confronti degli utenti” e minacciando l’impugnazione di eventuali provvedimenti che vadano a toccare le bollette. “La legge afferma che tale imposta è dovuta da chi possiede un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive”, ricorda il presidente Carlo Rienzi, “ma imporre al cittadino l’onere di dimostrare di non avere tali strumenti nella propria abitazione, pena l’addebito diretto in bolletta, appare un atto abnorme che finirà per complicare la vita ai cittadini”. Non solo: l’associazione di difesa dei consumatori contrattacca chiamando in causa proprio gli uffici, gli esercizi commerciali e gli studi professionali, insieme ad “alberghi, sedi di partito, circoli, associazioni e istituti religiosi“. In quella platea, secondo Rienzi, “si registra una elevatissima evasione”, ed è su quella che il governo dovrebbe “concentrare la propria attenzione”.
Intanto pochi giorni fa Slc Cgil, Uilcom Uil, Adusbef e Federconsumatori hanno depositato un ricorso al Tar del Lazio contro il prelievo di 150 milioni di euro dal canone di abbonamento deciso dal governo con il decreto Irpef, che si configurerebbe come “una tassa nuova e occulta a carico dei cittadini”. Il canone, spiegano le sigle sindacali e le associazioni dei consumatori, è un'”imposta di scopo (così è stato qualificato dalla Corte Costituzionale) dedicata al finanziamento del servizio pubblico”, e prelevando quella somma “si opera un trasferimento dalla fiscalità speciale a quella generale. Il bilancio dello Stato potrà disporre di 150 milioni di euro da utilizzare a discrezione del governo. I cittadini, tuttavia, hanno pagato il canone per un fine ben preciso: il finanziamento del servizio pubblico, e non per vedersi in sostanza modificata la propria aliquota Irpef, perché è ovvio che se il canone contribuisce alla fiscalità generale, il cittadino non paga più le aliquote conosciute ma una aliquota maggiore, non determinata per legge”.
Secondo Antonio Saitta, giurista e ordinario di Diritto costituzionale che ha assistito sindacati e consumatori nel ricorso, nel prelievo ci sarebbe un “profilo di incostituzionalità, perché la Rai è di competenza del Parlamento e non del governo”. In più per i ricorrenti il Dl 66 del 2014 (il decreto Irpef, appunto) presenta “profili di illegittimità” perché “riduce, con effetto retroattivo, le risorse dovute alla Rai senza prevedere una riforma che assicuri l’erogazione degli standard di servizio contenuti nel contratto di servizio 2013-2015, è in assoluto contrasto con l’articolo 77 della Costituzione che consente lo strumento del decreto legge solo nelle ipotesi di ‘straordinaria necessità ed urgenza’ e viola la natura giuridica del canone, garantita dalle norme costituzionali in quanto strumentale al buon funzionamento del servizio pubblico televisivo, il quale ha ‘carattere di preminente interesse generale'”.