Più conosci il mondo, meno lo temi e più hai voglia di esplorarlo. Se poi in Italia fai fatica a sbarcare il lunario, ancora di più. Non è un caso dunque che chi ha vissuto un’esperienza di studio all’estero, dopo la laurea è più propenso a cercare lavoro in un altro Paese. Così il presente, anche se precario, ti fa sentire ancora il terreno sotto i piedi, il futuro fa meno paura, e non rimandi la carriera a data indefinita. I numeri ne sono la prova. Secondo un’indagine AlmaLaurea, nel 2013 il 48 per cento dei laureati ha ammesso di voler intraprendere un percorso professionale oltreconfine e di questi la stragrande maggioranza (il 74 per cento) aveva già partecipato a un programma europeo. Il più gettonato l’Erasmus. Non solo. Il trend di chi prende e se ne va via dall’Italia per qualche mese durante l’università è in crescita.
Nel 2008 lo ha fatto l’8 per cento dei laureati. Cinque anni dopo il 9,3. Partono più volentieri gli iscritti a un corso di laurea magistrale biennale, che rappresentano il 18 per cento (due punti di scarto rispetto all’obiettivo fissato per il 2020 in sede europea), contro il 14 per cento dei magistrali a ciclo unico (come giurisprudenza, medicina, farmacia, veterinaria) e gli studenti triennali, solo sette su cento. La mobilità si concentra soprattutto nella facoltà di Lingue. Meno coinvolta la facoltà di Educazione fisica e quelle per l’insegnamento. All’ultimo posto si piazzano le discipline sanitarie (Medicina e Odontoiatria). Le meta più ambita è la Spagna (27 per cento). Seguono Francia (13 per cento), Germania (9 per cento) e Regno Unito (8 per cento). La spinta ad allargare l’orizzonte ce l’hanno soprattutto i ragazzi delle università del Nord est italiano (12,5 per cento). Secondi quelli che si trovano a Nord ovest (10,8 per cento). Poi quelli del Centro (9,1 per cento), Isole (7,5 Per cento) e Sud (6 per cento). Ultimo dettaglio da AlmaLaurea: tendono a fare i bagagli più spesso i figli di genitori entrambi laureati.
Studiare all’estero, in effetti, si rivela una scommessa vincente. Stando a un recente studio della Commissione europea, cinque anni dopo la laurea il tasso di disoccupazione degli ex studenti Erasmus cala del 23 per cento, circa la metà dei loro coetanei che non si sono mossi dall’Italia. Il 40 per cento si è trasferito in un altro Paese finita l’università e il 93 per cento desidera un futuro oltreconfine.
Australia, la storia di Elisa – Risponde all’identikit Elisa Sbrogiò. Trentunenne, nata a Treviso, traslocata a Melbourne, e un Erasmus a Lisbona alle spalle. “Era il 2010 quando ho preso il biglietto per l’Australia. Non sono partita a causa della crisi. C’era ma se ne parlava poco. Il mio piano era tornare dopo due anni. A forza di leggere articoli e sentire amici parlare di disoccupazione, ci ho ripensato. L’Italia mi manca da morire, vero. Ma ti abitui presto a non avere intorno la famiglia e le persone care”. Riavvolgiamo il nastro. Dopo una laurea in Disegno industriale allo Iuav di Venezia Elisa riceve subito un’offerta di lavoro.
“Ho accettato. L’azienda era importante, produce lampade di design, fu il mio relatore di tesi a propormi. Primo contratto di sei mesi con uno stipendio da mille euro. Me l’hanno rinnovato. Quando è scaduto sono andata dal capo e gli ho detto che volevo trasferirmi all’estero. Lui provò a farmi cambiare idea offrendomi un contratto a tempo indeterminato e una paga più alta. Rifiutati. E feci le valigie”. A Elisa premeva imparare l’inglese. “In Italia anche se lo studiamo a scuola, non lo sappiamo. Avevo già diversi amici all’estero. Prova e vedi, mi dicevano, non rimanere dentro il tuo guscio, serve per avere delle opzioni nella vita. Li ho ascoltati”. Quindi eccola a Melbourne. Per i primi due mesi fa degli scambi di lingua “con degli australiani figli di immigrati italiani, loro mi insegnavano l’inglese, io l’italiano”.
Per racimolare qualche soldo lavora come cameriera e grafica freelance. Passati tre mesi è pronta per mandare cv in giro. Tempo due settimane e viene assunta in un’azienda di consulenza illuminotecnica. “Contratto a tempo indeterminato ma avevo un visto di sei mesi. Il boss mi ha fatto da sponsor per avere un visto di lavoro di quattro anni. Qui – avverte Elisa – se vogliono licenziarti, non ci pensano due volte. Però c’è tanta richiesta, è facile trovare un’alternativa”. Elisa con il suo stipendio si è presa la macchina, paga affitto e bollette, vacanze, e non guarda il portafoglio quando entra al ristorante. “Ho preso la cittadinanza australiana. Il cuore è in Italia. Forse un giorno ritorno in Europa, più che altro per passare più tempo con i miei genitori, visto che sono figlia unica…”.
Stati Uniti, la carriera di Ivan a Washington – L’Erasmus a Maastricht, una laurea triennale in Relazioni internazionali a Bologna, e una certezza: “Fare la specialistica in Italia è una perdita di tempo”. Lui, Ivan Butina, ha preferito iscriversi subito a un master, alla Johns Hopkins University, un anno a Bologna e due a Washington. Oggi ha 30 anni e fa il consulente per la Banca mondiale. Washington non l’ha più lasciata e non è mai rimasto con le mani in mano. “Ho fatto un tirocinio a Sarajevo, alla sede di rappresentanza del Consiglio d’Europa. Io sono nato lì, ma a otto anni sono venuto in Italia con mia madre. Mio padre invece abita in Belgio”.
Durante il secondo tirocinio al Transatlantic business dialogue, ente no profit che promuove il libero mercato tra Europa e Stati Uniti, Ivan capisce di essere portato per le pubbliche relazioni, molto meno per la burocrazia. Finito il master, ragiona all’americana: “Meglio azzardare piuttosto che cercare la sicurezza”. Così è stato. “Qui c’è la cultura del rischio e il fallimento non è vissuto come un problema”. Ivan trova un posto in una ditta che si occupa di pubbliche relazioni. Nel frattempo si sposa con una ragazza americana. “Non ho mai dovuto chiedere un soldo ai miei da quando sto qua” confessa. Poi si è detto: “Ora faccio per mio conto. Cerco dei clienti e apro un’attività tutta mia”.
Ancora in stile americano. E lo ha fatto davvero. Nel 2013 partecipa a un evento in ambasciata italiana e incontra un connazionale che lavora alla Banca mondiale e che più avanti gli propone di collaborare a un suo progetto. Ivan accetta e dà un’ulteriore svolta alla sua vita. “In Banca mondiale ho scoperto un nuovo mondo, il community managment, in italiano gruppi di pratica, cioè gruppi informali di professionisti che servono a connettere le competenze per gli stessi obiettivi, lasciando da parte la scorza burocratica. Per esempio, la BM ha 15mila impiegati sparsi nel mondo e difficilmente si parlano”. È stato un colpo di fulmine. Tant’è che Ivan a gennaio 2014 è diventato il punto di riferimento dei 200 gruppi di pratica all’interno dell’istituzione.
“Sbrigo le pratiche quotidiane, offro supporto, faccio training. Ho un contratto di consulenza di 150 giorni all’anno per 326 dollari al giorno”. Addio per sempre all’Italia? “Mai dire mai. Siamo una generazione di globetrotter, ci spostiamo dove ci sono le opportunità”. Ivan nel 2009 ha fondato l’associazione “Italians in DC”, italiani a Washington. Oltre 300 soci, quattro mila iscritti alla mailing list e uno staff di una ventina di persone. Obiettivo: a parte divertirsi, fare networking professionale. “Vedevo che i tedeschi avevano contatti facili nelle istituzioni. Così ho capito. Anche a noi serviva unirsi e organizzare meeting. Qui si sopravvive grazie ai legami che ti fai di persona. Non conta chi sono i tuoi, di quale religione o partito politico sei. La scalata non si fa sottobanco. Ogni settore professionale ha la sua rete e va sfruttata”.
Cervelli in fuga
Erasmus, si parte per studiare. E si finisce cercando lavoro all’estero
Secondo AlmaLaurea, nel 2013 il 48 per cento dei laureati ha ammesso di voler intraprendere un percorso professionale oltreconfine. Di questi la stragrande maggioranza (il 74 per cento) aveva già partecipato a un programma europeo. Le storie di Elisa e Ivan
Più conosci il mondo, meno lo temi e più hai voglia di esplorarlo. Se poi in Italia fai fatica a sbarcare il lunario, ancora di più. Non è un caso dunque che chi ha vissuto un’esperienza di studio all’estero, dopo la laurea è più propenso a cercare lavoro in un altro Paese. Così il presente, anche se precario, ti fa sentire ancora il terreno sotto i piedi, il futuro fa meno paura, e non rimandi la carriera a data indefinita. I numeri ne sono la prova. Secondo un’indagine AlmaLaurea, nel 2013 il 48 per cento dei laureati ha ammesso di voler intraprendere un percorso professionale oltreconfine e di questi la stragrande maggioranza (il 74 per cento) aveva già partecipato a un programma europeo. Il più gettonato l’Erasmus. Non solo. Il trend di chi prende e se ne va via dall’Italia per qualche mese durante l’università è in crescita.
Nel 2008 lo ha fatto l’8 per cento dei laureati. Cinque anni dopo il 9,3. Partono più volentieri gli iscritti a un corso di laurea magistrale biennale, che rappresentano il 18 per cento (due punti di scarto rispetto all’obiettivo fissato per il 2020 in sede europea), contro il 14 per cento dei magistrali a ciclo unico (come giurisprudenza, medicina, farmacia, veterinaria) e gli studenti triennali, solo sette su cento. La mobilità si concentra soprattutto nella facoltà di Lingue. Meno coinvolta la facoltà di Educazione fisica e quelle per l’insegnamento. All’ultimo posto si piazzano le discipline sanitarie (Medicina e Odontoiatria). Le meta più ambita è la Spagna (27 per cento). Seguono Francia (13 per cento), Germania (9 per cento) e Regno Unito (8 per cento). La spinta ad allargare l’orizzonte ce l’hanno soprattutto i ragazzi delle università del Nord est italiano (12,5 per cento). Secondi quelli che si trovano a Nord ovest (10,8 per cento). Poi quelli del Centro (9,1 per cento), Isole (7,5 Per cento) e Sud (6 per cento). Ultimo dettaglio da AlmaLaurea: tendono a fare i bagagli più spesso i figli di genitori entrambi laureati.
Studiare all’estero, in effetti, si rivela una scommessa vincente. Stando a un recente studio della Commissione europea, cinque anni dopo la laurea il tasso di disoccupazione degli ex studenti Erasmus cala del 23 per cento, circa la metà dei loro coetanei che non si sono mossi dall’Italia. Il 40 per cento si è trasferito in un altro Paese finita l’università e il 93 per cento desidera un futuro oltreconfine.
Australia, la storia di Elisa – Risponde all’identikit Elisa Sbrogiò. Trentunenne, nata a Treviso, traslocata a Melbourne, e un Erasmus a Lisbona alle spalle. “Era il 2010 quando ho preso il biglietto per l’Australia. Non sono partita a causa della crisi. C’era ma se ne parlava poco. Il mio piano era tornare dopo due anni. A forza di leggere articoli e sentire amici parlare di disoccupazione, ci ho ripensato. L’Italia mi manca da morire, vero. Ma ti abitui presto a non avere intorno la famiglia e le persone care”. Riavvolgiamo il nastro. Dopo una laurea in Disegno industriale allo Iuav di Venezia Elisa riceve subito un’offerta di lavoro.
“Ho accettato. L’azienda era importante, produce lampade di design, fu il mio relatore di tesi a propormi. Primo contratto di sei mesi con uno stipendio da mille euro. Me l’hanno rinnovato. Quando è scaduto sono andata dal capo e gli ho detto che volevo trasferirmi all’estero. Lui provò a farmi cambiare idea offrendomi un contratto a tempo indeterminato e una paga più alta. Rifiutati. E feci le valigie”. A Elisa premeva imparare l’inglese. “In Italia anche se lo studiamo a scuola, non lo sappiamo. Avevo già diversi amici all’estero. Prova e vedi, mi dicevano, non rimanere dentro il tuo guscio, serve per avere delle opzioni nella vita. Li ho ascoltati”. Quindi eccola a Melbourne. Per i primi due mesi fa degli scambi di lingua “con degli australiani figli di immigrati italiani, loro mi insegnavano l’inglese, io l’italiano”.
Per racimolare qualche soldo lavora come cameriera e grafica freelance. Passati tre mesi è pronta per mandare cv in giro. Tempo due settimane e viene assunta in un’azienda di consulenza illuminotecnica. “Contratto a tempo indeterminato ma avevo un visto di sei mesi. Il boss mi ha fatto da sponsor per avere un visto di lavoro di quattro anni. Qui – avverte Elisa – se vogliono licenziarti, non ci pensano due volte. Però c’è tanta richiesta, è facile trovare un’alternativa”. Elisa con il suo stipendio si è presa la macchina, paga affitto e bollette, vacanze, e non guarda il portafoglio quando entra al ristorante. “Ho preso la cittadinanza australiana. Il cuore è in Italia. Forse un giorno ritorno in Europa, più che altro per passare più tempo con i miei genitori, visto che sono figlia unica…”.
Stati Uniti, la carriera di Ivan a Washington – L’Erasmus a Maastricht, una laurea triennale in Relazioni internazionali a Bologna, e una certezza: “Fare la specialistica in Italia è una perdita di tempo”. Lui, Ivan Butina, ha preferito iscriversi subito a un master, alla Johns Hopkins University, un anno a Bologna e due a Washington. Oggi ha 30 anni e fa il consulente per la Banca mondiale. Washington non l’ha più lasciata e non è mai rimasto con le mani in mano. “Ho fatto un tirocinio a Sarajevo, alla sede di rappresentanza del Consiglio d’Europa. Io sono nato lì, ma a otto anni sono venuto in Italia con mia madre. Mio padre invece abita in Belgio”.
Durante il secondo tirocinio al Transatlantic business dialogue, ente no profit che promuove il libero mercato tra Europa e Stati Uniti, Ivan capisce di essere portato per le pubbliche relazioni, molto meno per la burocrazia. Finito il master, ragiona all’americana: “Meglio azzardare piuttosto che cercare la sicurezza”. Così è stato. “Qui c’è la cultura del rischio e il fallimento non è vissuto come un problema”. Ivan trova un posto in una ditta che si occupa di pubbliche relazioni. Nel frattempo si sposa con una ragazza americana. “Non ho mai dovuto chiedere un soldo ai miei da quando sto qua” confessa. Poi si è detto: “Ora faccio per mio conto. Cerco dei clienti e apro un’attività tutta mia”.
Ancora in stile americano. E lo ha fatto davvero. Nel 2013 partecipa a un evento in ambasciata italiana e incontra un connazionale che lavora alla Banca mondiale e che più avanti gli propone di collaborare a un suo progetto. Ivan accetta e dà un’ulteriore svolta alla sua vita. “In Banca mondiale ho scoperto un nuovo mondo, il community managment, in italiano gruppi di pratica, cioè gruppi informali di professionisti che servono a connettere le competenze per gli stessi obiettivi, lasciando da parte la scorza burocratica. Per esempio, la BM ha 15mila impiegati sparsi nel mondo e difficilmente si parlano”. È stato un colpo di fulmine. Tant’è che Ivan a gennaio 2014 è diventato il punto di riferimento dei 200 gruppi di pratica all’interno dell’istituzione.
“Sbrigo le pratiche quotidiane, offro supporto, faccio training. Ho un contratto di consulenza di 150 giorni all’anno per 326 dollari al giorno”. Addio per sempre all’Italia? “Mai dire mai. Siamo una generazione di globetrotter, ci spostiamo dove ci sono le opportunità”. Ivan nel 2009 ha fondato l’associazione “Italians in DC”, italiani a Washington. Oltre 300 soci, quattro mila iscritti alla mailing list e uno staff di una ventina di persone. Obiettivo: a parte divertirsi, fare networking professionale. “Vedevo che i tedeschi avevano contatti facili nelle istituzioni. Così ho capito. Anche a noi serviva unirsi e organizzare meeting. Qui si sopravvive grazie ai legami che ti fai di persona. Non conta chi sono i tuoi, di quale religione o partito politico sei. La scalata non si fa sottobanco. Ogni settore professionale ha la sua rete e va sfruttata”.
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Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".