Grazie all'"azione popolare", un cittadino si è costituito in giudizio contro il colosso petrolifero, poi condannato in primo grado per disastro ambientale. E il Comune ha incassato un milione di provvisionale. "Negli anni Novanta la città condizionata da Gheddafi"
La storia di un piccolo gruppo di cittadini – militanti radicali – supportati da due avvocati, un geologo e un deputato, che per oltre un quarto di secolo si è battuto per la salute delle persone e dell’ambiente, in una delle più belle aree verdi appoggiate sul Po intorno a Cremona, è tutta in “Morire di petrolio. Trent’anni di lotte radicali a Cremona contro l’inquinamento ambientale, economico, sociale e politico”. Un libro (Reality Book, pp. 201, euro 12), di prossima uscita, che racconta la battaglia di un manipolo di attivisti che ha portato alla condanna in primo grado dei vertici della Tamoil, raffineria responsabile di “disastro doloso di natura ambientale” – si legge nel dispositivo della sentenza arrivata lo scorso luglio – senza precedenti. Un pronunciamento giunto dopo sette anni di indagini, 40 udienze, perizie, controperizie, analisi, campionamenti, sopralluoghi.
Ecco perché, partito come racconto, il volume si è trasformato in manuale tecnico-giuridico per la “scienza e la coscienza civica e ambientalista”, da poter essere utilizzato in tutta Italia ove esistono “bombe ecologiche come la Tamoil”. Un insediamento produttivo attualmente dismesso – ora è un deposito – e in attesa di una bonifica che secondo molti mai verrà portata a compimento.
Ma se oggi rappresenta un simulacro di se stesso, il polo produttivo ebbe un peso decisivo come terminale del potere di Gheddafi, proprietario della raffineria. Il capitolo “Tamoil agente di Gheddafi” ci riporta agli anni Novanta. E nel contesto di una piccola città, dove l’establishment politico-istituzionale locale era in una condizione di totale subalternità al rais, così come l’Italia lo era sul piano energetico nei confronti della Libia. In quegli anni le sanzioni dell’Onu che gravavano sul regime libico, a seguito dei fatti di Lockerbie, comportavano il blocco petrolifero, aggirato però in quanto mai si sono arrestati i flussi di denaro (Italia-Libia) e di petrolio (Libia-Italia), vuoi per esigenze occupazionali (360 i dipendenti della raffineria, più altri 1.000 se consideriamo l’indotto), vuoi per il prezzo conveniente al quale veniva acquistato il combustibile.
Una ricostruzione giornalistica del 1997 narra del viaggio in Libia di una delegazione di dirigenti Tamoil e di amministratori locali. “Per superare l’embargo decretato dall’Onu – si legge nell’articolo – il gruppo cremonese raggiungerà Tripoli attraverso la Tunisia”. Nessuno, poi, è in grado a quantificare l’ammontare delle sponsorizzazioni che grazie a Tamoil sono piovute sulla città (cultura, sport, associazioni; ma anche il patrocinio a numerose manifestazioni).
Dopo la sconfitta di Tamoil in prima grado, un dilemma si apre tuttavia in città. Che farà, a questo punto, il Comune, una volta depositate le motivazione della sentenza e resa esecutiva la provvisionale di un milione di euro? Si accontenterà dei soldi? Si metterà d’accordo per una somma maggiore e rinuncerà all’appello? E farà lo stesso sul versante civile, per il risarcimento completo del danno? A oggi, una risposta ancora non c’è.