Passo di sfuggita davanti al casellario, l’ufficio dove si depositano tutti gli oggetti del carcere.
In mezzo a un gruppo di agenti che parlano ad alta voce, in un’atmosfera goliardica, c’è un ragazzo di colore a torso nudo. “Ma tu così stai?!? Tie’, too regalo” gli dice uno lanciandogli un camicione a quadri.
Dalle porte laterali lasciate aperte riesco a riconoscere il ragazzo di prima: nel buio del controluce si distingue qualche quadro della camicia e soprattutto una lunga fila di denti bianchissimi, aperti in un sorriso raggiante. “E nnaamo…”, direzione porta carraia: l’allegra marcia verso la libertà.
Nei tanti lunghi anni di servizio a Rebibbia, sono queste le scene cui mi capita di assistere quotidianamente. Ben diverse da quel che è riportato su certi giornali o rappresentato nella gran parte dei film che tentano di raccontare il carcere.
Per fortuna, c’è molta solidarietà tra le persone normali.