Musica

Sonic Highways, viaggio nelle autostrade sonore del nuovo album dei Foo Fighters

Il nuovo album della band di Grohl è la fase finale di un progetto che ha visto il gruppo in viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca delle storie e dei musicisti che hanno plasmato il “sound” delle città prese in esame. Il risultato è il documentario omonimo - in onda in Italia su Sky Arte – diretto da Dave Grohl

di Chiara Felice

L’ottavo album dei Foo Fighters – “Sonic Highways” – è probabilmente il progetto più ambizioso della band di Dave Grohl. Il disco è solo la fase finale di un progetto che ha visto il gruppo in viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca di storie e musicisti che attraverso la loro musica hanno plasmato il “sound” delle città prese in esame. Il risultato del viaggio è il documentario omonimo – in onda in Italia su Sky Arte – diretto da Dave Grohl e prodotto dalla HBO, nel quale ogni episodio vede protagonista una città degli Stati Uniti che ha dato un apporto fondamentale alla storia della musica: Austin, Chicago, Los Angeles, Nashville, New Orleans, New York, Seattle e Washington sono le otto tappe di questo percorso sonoro che ha visto la band registrare in altrettanto leggendari studi di registrazione, con la collaborazione di musicisti del luogo.

Non si può giudicare l’album senza tenere conto del forte legame che lo lega a questo percorso. Percorso grazie al quale Grohl ha anche voluto sperimentare una nuova tecnica di scrittura: ogni testo è stato scritto durante l’ultimo giorno di ciascuna sessione di registrazione, così che le storie ascoltate fossero l’unico strumento di ispirazione. Arma pericolosamente a doppio taglio, soprattutto per un musicista come Grohl che non è mai stato particolarmente eccelso nella scrittura dei testi, anche se gli va riconosciuta una genuina schiettezza e la capacità di racchiudere nei versi delle sue canzoni sentimenti ed esigenze comuni a molti giovani.

Il brano di apertura, la potente “Something From Nothing”, fotografa la prima tappa del viaggio, Chicago, ed un personaggio in particolare: Buddy Guy, tanto che il verso “a button on a string / and I heard everything” si ricollega proprio all’intervista di Grohl a Buddy, durante la quale il leggendario bluesman parla dei suoi primi approcci con la musica, affermando di essere stato “un ragazzo che suonava con strumenti fatti di fili e bottoni”. In questo primo episodio Grohl accenna anche al suo “nuovo inizio” arrivato dopo un periodo devastante dovuto alla morte di Kurt Cobain con conseguente fine dei Nirvana. Nel 1994 Grohl registra una manciata di canzoni che poi sarebbero diventate quelle dei Foo Fighters, progetto al quale il batterista sentì l’esigenza di dare un nome perché non voleva essere etichettato come “quello dei Nirvana”. Il documentario “Sonic Highways” è anche un modo per tornare alle radici, reali o formative che siano.

Il secondo episodio “Washington D.C.” – che inizia con la notizia dell’assassinio di Martin Luther King Jr il 4 aprile 1968 – è un esempio di ritorno a casa e lo è perché molte band nate o attive nella capitale avrebbero influenzato il sound di Grohl: dai Bad Brains (nel documentario definiti da Rick Rubin “una delle prima hardcore punk band”), a Fugazi e Minor Threat (con intervista a Ian MacKaye). Si parla del “go-go sound” e del suo padre fondatore Chuck Brown, della “Summer Revolution” e di quanto la scena punk di allora non fosse caratterizzata da ambizioni di celebrità. Quasi tutto questo verrà riversato nel secondo brano del disco, “The Feast And The Famine”.

Il documentario affascina puntata dopo puntata e meriterebbe un capitolo a parte per la fondamentale importanza che riuscirà ad avere arrivando ad una generazione troppo lontana (e forse ancora troppo giovane) per conoscere le radici musicali che hanno portato alla nascita e allo sviluppo della musica rock. Si parla della radice di tutto, il blues, e si tenta di spiegare come questo abbia dei punti di congiunzione con la scena punk. Progetto ambizioso, che vede il disco ad un livello diverso rispetto alle reali aspettative: nelle intenzioni dei Foo Fighters c’era anche l’idea di “lasciarsi influenzare” dal sound del luogo, e l’avvalersi della collaborazione di musicisti del posto era un percorso in questo senso. Questa intenzione però non ha avuto risultati eccellenti: probabilmente la mancanza di tempo non ha permesso un approccio più studiato dal punto di vista compositivo, o forse la paura di allontanarsi troppo dalla zona di sicurezza, ha preso il sopravvento.

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