“Perché, si chiedeva, tutti gli ustascia muoiono a Buenos Aires, Belo Horizonte, Caracas e in altre località calde e amene, e tutti con dei bei nomi spagnoli, mentre i comunisti crepano a meno cinquantadue, in qualche posto sperduto nella lontana Siberia o sulle isole a ridosso del Polo, dove niente, tranne l’aurora boreale, è diverso dall’inferno? Gli ustascia muoiono sereni a Santiago e a Madrid, a Barcellona, Casablanca e nei villaggi colombiani sulla costa del mar dei caraibi, i comunisti di malattie orrende e dolorose a Sremska, Kamenica, Belgrado, Zagabria e Lubiana, sentendosi per giunta colpevoli, perseguitati dai rimorsi, stanchi e delusi.”
Un libro intenso e bellissimo, un fiume di parole che scorre senza intoppi. Si tratta di Al dì di Pentecoste (traduzione di Ljiljana Avirović , edito da Zandonai Editore), dello scrittore croato Miljenko Jergović. In un appartamento sfitto di Zagabria viene scoperto il cadavere di una giovanissima zingara, vittima di un efferato omicidio. La polizia brancola nel buio: nessuno si presenta a riconoscere la salma, nessuno chiede notizie di lei e il suo nome non compare in alcun registro anagrafico. Si sa solo che è stata vista per l’ultima volta a un semaforo, il giorno di Pentecoste, mentre chiedeva l’elemosina danzando e cantando.
“Quando un uomo diventa vecchio e la vita gli è già passata sopra, pensa Lazar, allora scompare in lui ogni forma di rabbia. Ora non sarebbe più disposto a picchiare, bensì si lascerebbe cadere, leggero e silente come la pioggia, come il sonno o la morte, sul bel corpo di Srda Kapurova.”
La matassa si dipana pian piano attraverso cinque testimonianze che, ciascuna a suo modo, costituiscono esemplarmente ciò che rimane dell’identità jugoslava andata in frantumi con le guerre degli anni novanta: un’umanità preda del risentimento, attratta da miti posticci e dal cinismo di vecchi e nuovi malfattori. Da una pittoresca galleria di personaggi goffi e spaesati, fatalmente inclini alla malinconia e condannati a essere per sempre stranieri in patria, emerge un affresco cangiante e monumentale della Jugoslavia lungo tutto il Novecento, un crocevia di storie che sembrano scavare un gigantesco baratro. Storie intrise di magia e di epos, e forgiate dallo stile rapsodico, dalla vena dissacrante e dall’irresistibile comicità di un maestro della narrazione qual è Jergović. Di lui Paolo Rumiz ha detto: “Uno che dissotterra e strappa con le unghie all’oblio interi pezzi di vita.”
Miljenko Jergović è nato a Sarajevo nel 1966, croato di adozione, è uno degli scrittori più talentuosi e brillanti della ex Jugoslavia. Romanziere, poeta, giornalista, sceneggiatore, ha ricevuto numerosi riconoscimenti sia in patria sia all’estero. In Italia, dopo il fortunato esordio con Le Marlboro di Sarajevo (1995), si è aggiudicato, tra gli altri, il Grinzane Cavour (2003) e recentemente il Premio Tomizza (2011). Tra i suoi ultimi romanzi tradotti in italiano Inšallah Madona, inšallah (Scheiwiller, 2006) e Freelander (Zandonai, 2009).
E rimanendo sempre nell’ambito geografico della ex Jugoslavia, è uscito, rivisto, un romanzo che era già uscito qualche anno fa per la serie Segretissimo. Si tratta de Assedio, di Vincent Spasaro (Edizioni Anordest). Nella Sarajevo stretta nella morsa dell’assedio più spaventoso che l’Europa abbia visto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’agente Stefan Weiss sta per vivere una notte davvero speciale. Chiamato a pattugliare un vecchio palazzo scopre la Stanza 41, in cui avvengono atroci omicidi e da cui le persone sembrano non fare più ritorno. L’Osservatrice dell’Onu Elèna Hahn-Kraus deve risolvere il caso prima dell’alba per evitare un incidente internazionale e decide di affidarsi al Cieco, necromante dalla dubbia fama e dalle origini avvolte nel mistero. Ma in quella notte infinita, dove le bombe sono quel che di meno spaventoso può accadere, il destino ha in serbo per tutti un’avventura agghiacciante nei cunicoli di un labirinto senza tempo capace di ingoiare le anime.
Nonostante non ami particolarmente gli “effetti speciali” nei romanzi e non riesca a digerire gli elementi che non siano reali e dimostrabili, di questo romanzo veloce e ben scritto ho apprezzato la descrizione cruda e veritiera della Sarajevo martoriata dai cecchini e dalle truppe della soldataglia cetnica, un nemico invisibile, gli uomini delle montagne, presenza nascosta ma implacabile, capace di stravolgere la vita quotidiana di migliaia di persone.