Confesso che sono golosa. Anche se in modo conflittuale. No, non è una battaglia per la dieta. Piuttosto direi tra la parte materiale, fisica di me e quella spirituale. Forse è per questo – per precostituirmi un alibi, per giustificare le mie cadute – che ho cominciato ad attribuire al cibo un significato “nobile”. Non soltanto perché ci nutre (che sarebbe già abbastanza).
Ieri con mio marito e i bambini siamo andati per castagne. Una breve camminata e poi ci siamo ritrovati nella “nostra” trattoria, in un paese chiamato Romaggi, alle spalle di Genova. Quando siamo impegnati in qualcosa ce lo ripromettiamo sempre: se ce la faremo, come premio andremo lassù a mangiare i ravioli. Non è soltanto per il posto, dove gli affanni di tutti i giorni sembrano lontani e ti senti al sicuro da tutto. Dalla vita. No, sono proprio i ravioli. Ieri i proprietari della trattoria mi hanno lasciato assistere al rito della preparazione: il ripieno con i “gusti”, cioè le erbe, dall’umile borragine che cresce quasi per dispetto nei campi alla maggiorana che ha il sapore della Liguria. Poi arriva la sfoglia fatta a mano, impastata a mano. Nessuna macchina tra te e il raviolo.
I miei figli guardavano e non capivano. “Mangiamo!”, sembravano soltanto chiedere. Sì, mangiamo, perché in fondo, come diceva Marguerite Yourcenar nelle “Memorie di Adriano” il cibo nutre anche i pensieri. Di più: attraverso il cibo è il mondo che entra dentro di noi e ci nutre. Non c’è contatto più intimo e profondo con l’ambiente che ci circonda. Però non soltanto per questo. Quando alla fine è arrivato in tavola il piatto fumante di ravioli ho rivisto tutto il viaggio che quel cibo ha compiuto. L’uomo che alzandosi all’alba è andato a raccogliere la borragine e la maggiorana. La moglie che intanto bolliva la carne da mettere nel ripieno. Poi eccola per ore e ore a preparare l’impasto. Per noi che magari non ci pensiamo neanche. Lo diceva anche De Andrè in quel capolavoro che è “A cimma”. Il cibo è un gesto d’amore e attenzione; discreto, riservato come siamo noi liguri. Poi in quei piccoli ravioli, nel loro ripieno c’è davvero tutta la nostra terra con le stagioni, il sole, la pioggia e l’erba del grande prato.
Dove i bambini hanno appena finito di giocare a pallone.
il Fatto Quotidiano, 10 Novembre 2014