Storico della musica, Guido Zaccagnini ha tradotto e curato un testo sacro come La Generazione Romantica di Charles Rosen. Ha diretto la prima esecuzione mondiale delle composizioni di Friedrich Nietzsche collaborando, come pianista, con il complesso Spettro Sonoro. Ha composto colonne sonore per film come Roma, Paris, Barcelona (Paolo Grassini e Italo Spinelli) e musiche originali per la televisione: Ultimo minuto, Geo e Geo, Il decalogo dei Taliban.
Come critico musicale scrive per numerosi quotidiani, riviste specializzate, settimanali, oltre a condurre su Rai Radio 3, programmi di divulgazione dedicati soprattutto ad eventi musicali. Attualmente è docente di Storia della musica presso il Conservatorio di Santa Cecilia. Poche settimane fa, ho avuto occasione di incontrarlo a Roma.
Nel descrivere l’odierno panorama musicale, Zaccagnini propone una suggestiva analogia con l’antico Egitto. Tra la morte di un Faraone e l’avvento di una nuova dinastia, esisteva in quel paese un periodo di interregno, chiamato “periodo intermedio”: un lasso di tempo in cui il potere centrale si dissolveva favorendo un grande caos in cui leggi, ruoli, codici, venivano ignorati o addirittura sovvertiti. Questa, a suo modo di vedere, pare essere la fase che la musica, più di altre arti, attraversa oggi.
Il secondo Novecento è di sicuro un periodo caratterizzato dalla dissoluzione dei linguaggi, dalla frantumazione delle forme e dalle sperimentazioni più estreme. Tutto ciò non poteva che generare un collasso di comunicazione tra artista e pubblico. In musica, ricorda Zaccagnini, si è passati dal significato, al significante. L’oggetto di interesse, non è più il rapporto tra opera d’arte e pubblico (il significato e la percezione dell’opera passano in secondo piano). Ciò che diviene centrale, è il rapporto tra opera ed autore, o tra opera e opera, che assume così un valore che il professore definisce “indipendente dal dato della globalità”. Non si tratta di giudicare gli esiti artistici di un cinquantennio che ha prodotto cose molto brutte, ma anche molto belle; tuttavia, è del tutto evidente che, se il presupposto dell’artista non è più quello di incontrare i favori di un pubblico (qualunque esso sia), è inevitabile che il pubblico si defili.

Per chiarire le cose, aggiunge lo storico, è giusto sottolineare che la musica non sia affatto un linguaggio universale. Quest’arte è a tutti gli effetti un codice culturale che, per essere compreso, ha bisogno di una base condivisa tra opera e pubblico. D’altronde, da una parte sembrano oggi latitare figure carismatiche in grado di calamitare gli entusiasmi e di indicare una “via nuova” per la musica; dall’altra, non si capisce proprio come l’odierna società di massa possa esprimere prima, e sostenere poi, figure simili…
Nell’Ottocento, ad esempio, moltissima musica era scritta per intrattenimento domestico: riduzioni per pianoforte di opere note, romanze e lieder (canzoni) erano all’ordine del giorno. C’era, come dire, un pubblico in grado assorbire una produzione che, oltre a svolgere un ruolo di intrattenimento, aveva anche una funzione educativa. Qualcuno potrebbe asserire, sbagliando, che la cosa riguardasse solo poche famiglie borghesi. Ma allora, come spiegare un popolo che alla morte di compositori come Beethoven, Wagner ne salutava i feretri con adunate oceaniche che oggi sarebbero inimmaginabili per i loro omologhi?
Da appassionato di musica leggera qual è, il professor Zaccagnini mi conferma che la situazione, anche in quest’ambito, non lo esalta particolarmente. In lui però, non v’è traccia di quell’atteggiamento un po’ paternalistico – o tempora o mores – col quale i “padri” sanciscono la definitiva deriva dei costumi. Tralasciamo il fatto che la musica leggera dei suoi anni (periodo oggettivamente irripetibile) annoverava personaggi del calibro dei Pink Floyd, Beatles, Bob Dylan, King Crimson, Genesis, ecc. In quegli anni però, era in uso scrivere ed ascoltare anche brani di otto, dieci, quindici minuti, canzoni con evoluzioni interne che, in molti casi, non avevano nulla da invidiare a generi musicali più strutturati, vere e proprie suites.
Oggi invece, siamo abituati generalmente a sentire (e non certo ad ascoltare) brani di due, tre minuti, in cui ogni elemento è previsto in funzione di una fruizione rapida, efficace, basilare e assolutamente non duratura (un prodotto deve infatti scadere presto per poter vendere quello nuovo). Chi non si uniforma a questo modello, è escluso dal circuito produttivo. Fin qui, volendo si potrebbe anche dire “nulla di nuovo”.
La tendenza preoccupante però, è che tutto ciò sembra avvenire senza nessuna opposizione da parte degli artisti stessi (contestatori per natura) che paiono nascere già pronti e felici di stare in queste gabbie. Anche quei personaggi che si vorrebbero proporre come alternativi, o addirittura di rottura, seguono pedissequamente lo stesso schema della musica che pretenderebbero di contestare. Cosa c’è infatti di rivoluzionario in un rapper che urla contro il sistema condensando la sua indignazione all’interno di un pezzo di tre minuti, trasmesso da tutte le radio ufficiali e magari prodotto e distribuito dalla Warner Bros? Altra cultura, mi ricorda il professore, quella in cui Bob Dylan, minacciando di andarsene, si imponeva sulla propria casa discografica al fine di scrivere brani della durata che preferiva…
Inoltre, dice, esiste un effetto di omologazione e decontestualizzazione per cui la musica tutta, è assorbita indistintamente come suono. Questo, soprattutto a causa del fatto che molti di noi, ne fruiscono ormai (spesso passivamente) attingendo esclusivamente a quell’immenso database virtuale che è la rete. Un luogo in cui, Bach e gli One Direction, Orff e Tiziano Ferro, Vivaldi e Dj. Fargetta sono percepiti sullo stesso piano e catalogati semplicemente come musica…
Al di là delle considerazioni estetiche, si rischia così di prescindere quasi totalmente, anche dalla funzione per cui queste musiche sono state scritte. Paradossalmente, nello stesso modo in cui Bach potrebbe oggi adirarsi perché una sua messa viene eseguita al Parco della Musica e non in una chiesa (magari durante la liturgia correlata), un autore di musica jungle potrebbe trovare poco sensato ascoltare un suo brano al di fuori di un rave party.
Secondo Zaccagnini però, la questione didattica sembra essere alla radice di molti dei nostri guai. Qui è il professore ad essere lapidario. In Italia, la musica si studia poco e male e il nostro Paese non sembra reggere il confronto con quelli più avanzati. Le cause, mi ricorda, hanno radici storiche molto profonde; basti pensare che “il grande” Francesco De Sanctis, uno dei più autorevoli e studiati storici della letteratura italiana, nonché ministro della Pubblica Istruzione, nell’affrontare la riforma della scuola, disse che era ora di abolire l’insegnamento del ricamo e della musica… Questo, suona come una sorta di peccato originale che ci portiamo dietro sin dalle origini. Da allora, tutte le riforme che si sono succedute nei decenni, hanno evitato accuratamente di affrontare la questione.
Il problema dell’alfabetizzazione musicale, dice dati alla mano, è presto dimostrato da numeri che non lasciano adito ad interpretazioni. In Italia, esiste un numero di licei (classico, scientifico, artistico) infinitamente superiore al numero di università, come dire, salendo verso la vetta, il numero di studenti si assottiglia e la piramide si restringe.
Nel caso della musica, non è così. Tralasciando il fatto, già di per sé scandaloso, che nelle scuole dell’obbligo la musica (o educazione musicale) si studi pochissimo, occorre notare che i licei musicali, recentemente introdotti, sono un centinaio in tutta Italia, di cui molti non autosufficienti e perciò “a ricasco” dei più vicini conservatori. Il numero di conservatori, università ad indirizzo musicale e scuole musicali parificate, è invece pari a circa ottanta in totale. Il rapporto, com’è evidente, è di cinque licei musicali per quattro conservatori! Da cui la domanda, dove e come dovrebbero formarsi persone in grado di affrontare studi di alto livello?
Come precedentemente accennato, nel caso di tutte le altre discipline, il rapporto tra licei ed università, è ovviamente molto diverso! Nella sola provincia di Roma ad esempio, a fronte di tre università pubbliche, ci sono più di duecento licei (classico, scientifico, artistico).
Inoltre, i docenti che una volta assunti, continuano a svolgere un’attività lavorativa e di ricerca al di fuori dell’accademia, sono davvero molto pochi. Ne consegue una progressiva differenza di preparazione ed aggiornamento nei confronti dei colleghi stranieri, selezionati spesso, anche in modo forse più meritocratico. Se poi si considera che i programmi didattici sui quali continuiamo a formare i nostri studenti, sono gli stessi degli anni Trenta (quindi di ottanta anni fa!), la questione si colora di tinte tragicomiche.
Nel congedarmi, Zaccagnini mi dice che terrà presto una lezione a proposito dell’ottima colonna sonora che Danny Elfmann scrisse per il Batman di Tim Burton. Qui, lo vedo entusiasmarsi decisamente, e da appassionato di soundtracks quale sono, ne approfitto per chiedergli se un certo snobbismo che gli accademici riservano agli autori di musica da film, non sia un po’ ingeneroso. Mi racconta di quando, alcuni anni fa, ebbe modo di assistere ad una lezione tenuta da Henry Mancini a proposito delle musiche composte per La Pantera Rosa, evento in cui il compositore di Cleaveland, fece sfoggio di un’erudizione musicale di altissimo livello. “Ah, L’America”…
Luigi Maiello
Compositore, musicologo, docente
Cultura - 16 Novembre 2014
Musica: su alfabetizzazione, omologazione e arte. Lezione di Guido Zaccagnini
Storico della musica, Guido Zaccagnini ha tradotto e curato un testo sacro come La Generazione Romantica di Charles Rosen. Ha diretto la prima esecuzione mondiale delle composizioni di Friedrich Nietzsche collaborando, come pianista, con il complesso Spettro Sonoro. Ha composto colonne sonore per film come Roma, Paris, Barcelona (Paolo Grassini e Italo Spinelli) e musiche originali per la televisione: Ultimo minuto, Geo e Geo, Il decalogo dei Taliban.
Come critico musicale scrive per numerosi quotidiani, riviste specializzate, settimanali, oltre a condurre su Rai Radio 3, programmi di divulgazione dedicati soprattutto ad eventi musicali. Attualmente è docente di Storia della musica presso il Conservatorio di Santa Cecilia. Poche settimane fa, ho avuto occasione di incontrarlo a Roma.
Nel descrivere l’odierno panorama musicale, Zaccagnini propone una suggestiva analogia con l’antico Egitto. Tra la morte di un Faraone e l’avvento di una nuova dinastia, esisteva in quel paese un periodo di interregno, chiamato “periodo intermedio”: un lasso di tempo in cui il potere centrale si dissolveva favorendo un grande caos in cui leggi, ruoli, codici, venivano ignorati o addirittura sovvertiti. Questa, a suo modo di vedere, pare essere la fase che la musica, più di altre arti, attraversa oggi.
Il secondo Novecento è di sicuro un periodo caratterizzato dalla dissoluzione dei linguaggi, dalla frantumazione delle forme e dalle sperimentazioni più estreme. Tutto ciò non poteva che generare un collasso di comunicazione tra artista e pubblico. In musica, ricorda Zaccagnini, si è passati dal significato, al significante. L’oggetto di interesse, non è più il rapporto tra opera d’arte e pubblico (il significato e la percezione dell’opera passano in secondo piano). Ciò che diviene centrale, è il rapporto tra opera ed autore, o tra opera e opera, che assume così un valore che il professore definisce “indipendente dal dato della globalità”. Non si tratta di giudicare gli esiti artistici di un cinquantennio che ha prodotto cose molto brutte, ma anche molto belle; tuttavia, è del tutto evidente che, se il presupposto dell’artista non è più quello di incontrare i favori di un pubblico (qualunque esso sia), è inevitabile che il pubblico si defili.
Per chiarire le cose, aggiunge lo storico, è giusto sottolineare che la musica non sia affatto un linguaggio universale. Quest’arte è a tutti gli effetti un codice culturale che, per essere compreso, ha bisogno di una base condivisa tra opera e pubblico. D’altronde, da una parte sembrano oggi latitare figure carismatiche in grado di calamitare gli entusiasmi e di indicare una “via nuova” per la musica; dall’altra, non si capisce proprio come l’odierna società di massa possa esprimere prima, e sostenere poi, figure simili…
Nell’Ottocento, ad esempio, moltissima musica era scritta per intrattenimento domestico: riduzioni per pianoforte di opere note, romanze e lieder (canzoni) erano all’ordine del giorno. C’era, come dire, un pubblico in grado assorbire una produzione che, oltre a svolgere un ruolo di intrattenimento, aveva anche una funzione educativa. Qualcuno potrebbe asserire, sbagliando, che la cosa riguardasse solo poche famiglie borghesi. Ma allora, come spiegare un popolo che alla morte di compositori come Beethoven, Wagner ne salutava i feretri con adunate oceaniche che oggi sarebbero inimmaginabili per i loro omologhi?
Da appassionato di musica leggera qual è, il professor Zaccagnini mi conferma che la situazione, anche in quest’ambito, non lo esalta particolarmente. In lui però, non v’è traccia di quell’atteggiamento un po’ paternalistico – o tempora o mores – col quale i “padri” sanciscono la definitiva deriva dei costumi. Tralasciamo il fatto che la musica leggera dei suoi anni (periodo oggettivamente irripetibile) annoverava personaggi del calibro dei Pink Floyd, Beatles, Bob Dylan, King Crimson, Genesis, ecc. In quegli anni però, era in uso scrivere ed ascoltare anche brani di otto, dieci, quindici minuti, canzoni con evoluzioni interne che, in molti casi, non avevano nulla da invidiare a generi musicali più strutturati, vere e proprie suites.
Oggi invece, siamo abituati generalmente a sentire (e non certo ad ascoltare) brani di due, tre minuti, in cui ogni elemento è previsto in funzione di una fruizione rapida, efficace, basilare e assolutamente non duratura (un prodotto deve infatti scadere presto per poter vendere quello nuovo). Chi non si uniforma a questo modello, è escluso dal circuito produttivo. Fin qui, volendo si potrebbe anche dire “nulla di nuovo”.
La tendenza preoccupante però, è che tutto ciò sembra avvenire senza nessuna opposizione da parte degli artisti stessi (contestatori per natura) che paiono nascere già pronti e felici di stare in queste gabbie. Anche quei personaggi che si vorrebbero proporre come alternativi, o addirittura di rottura, seguono pedissequamente lo stesso schema della musica che pretenderebbero di contestare. Cosa c’è infatti di rivoluzionario in un rapper che urla contro il sistema condensando la sua indignazione all’interno di un pezzo di tre minuti, trasmesso da tutte le radio ufficiali e magari prodotto e distribuito dalla Warner Bros? Altra cultura, mi ricorda il professore, quella in cui Bob Dylan, minacciando di andarsene, si imponeva sulla propria casa discografica al fine di scrivere brani della durata che preferiva…
Inoltre, dice, esiste un effetto di omologazione e decontestualizzazione per cui la musica tutta, è assorbita indistintamente come suono. Questo, soprattutto a causa del fatto che molti di noi, ne fruiscono ormai (spesso passivamente) attingendo esclusivamente a quell’immenso database virtuale che è la rete. Un luogo in cui, Bach e gli One Direction, Orff e Tiziano Ferro, Vivaldi e Dj. Fargetta sono percepiti sullo stesso piano e catalogati semplicemente come musica…
Al di là delle considerazioni estetiche, si rischia così di prescindere quasi totalmente, anche dalla funzione per cui queste musiche sono state scritte. Paradossalmente, nello stesso modo in cui Bach potrebbe oggi adirarsi perché una sua messa viene eseguita al Parco della Musica e non in una chiesa (magari durante la liturgia correlata), un autore di musica jungle potrebbe trovare poco sensato ascoltare un suo brano al di fuori di un rave party.
Secondo Zaccagnini però, la questione didattica sembra essere alla radice di molti dei nostri guai. Qui è il professore ad essere lapidario. In Italia, la musica si studia poco e male e il nostro Paese non sembra reggere il confronto con quelli più avanzati. Le cause, mi ricorda, hanno radici storiche molto profonde; basti pensare che “il grande” Francesco De Sanctis, uno dei più autorevoli e studiati storici della letteratura italiana, nonché ministro della Pubblica Istruzione, nell’affrontare la riforma della scuola, disse che era ora di abolire l’insegnamento del ricamo e della musica… Questo, suona come una sorta di peccato originale che ci portiamo dietro sin dalle origini. Da allora, tutte le riforme che si sono succedute nei decenni, hanno evitato accuratamente di affrontare la questione.
Il problema dell’alfabetizzazione musicale, dice dati alla mano, è presto dimostrato da numeri che non lasciano adito ad interpretazioni. In Italia, esiste un numero di licei (classico, scientifico, artistico) infinitamente superiore al numero di università, come dire, salendo verso la vetta, il numero di studenti si assottiglia e la piramide si restringe.
Nel caso della musica, non è così. Tralasciando il fatto, già di per sé scandaloso, che nelle scuole dell’obbligo la musica (o educazione musicale) si studi pochissimo, occorre notare che i licei musicali, recentemente introdotti, sono un centinaio in tutta Italia, di cui molti non autosufficienti e perciò “a ricasco” dei più vicini conservatori. Il numero di conservatori, università ad indirizzo musicale e scuole musicali parificate, è invece pari a circa ottanta in totale. Il rapporto, com’è evidente, è di cinque licei musicali per quattro conservatori! Da cui la domanda, dove e come dovrebbero formarsi persone in grado di affrontare studi di alto livello?
Come precedentemente accennato, nel caso di tutte le altre discipline, il rapporto tra licei ed università, è ovviamente molto diverso! Nella sola provincia di Roma ad esempio, a fronte di tre università pubbliche, ci sono più di duecento licei (classico, scientifico, artistico).
Inoltre, i docenti che una volta assunti, continuano a svolgere un’attività lavorativa e di ricerca al di fuori dell’accademia, sono davvero molto pochi. Ne consegue una progressiva differenza di preparazione ed aggiornamento nei confronti dei colleghi stranieri, selezionati spesso, anche in modo forse più meritocratico. Se poi si considera che i programmi didattici sui quali continuiamo a formare i nostri studenti, sono gli stessi degli anni Trenta (quindi di ottanta anni fa!), la questione si colora di tinte tragicomiche.
Nel congedarmi, Zaccagnini mi dice che terrà presto una lezione a proposito dell’ottima colonna sonora che Danny Elfmann scrisse per il Batman di Tim Burton. Qui, lo vedo entusiasmarsi decisamente, e da appassionato di soundtracks quale sono, ne approfitto per chiedergli se un certo snobbismo che gli accademici riservano agli autori di musica da film, non sia un po’ ingeneroso. Mi racconta di quando, alcuni anni fa, ebbe modo di assistere ad una lezione tenuta da Henry Mancini a proposito delle musiche composte per La Pantera Rosa, evento in cui il compositore di Cleaveland, fece sfoggio di un’erudizione musicale di altissimo livello. “Ah, L’America”…
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(Adnkronos) - La richiesta riguarda tutti le tracce trovate nella villetta di via Pascoli dove avviene il delitto, a partire dalle fascette dei rilievi dattiloscopici e le impronte digitali trovate nell'appartamento e sul dispenser portasapone dove - sancisce la Cassazione - si lava l'assassino. L'intenzione degli inquirenti è anche quella di lavorare sui quattro capelli scuri trovati nel lavandino del bagno al piano terra, così come sull'impronta trovata sulla porta d'ingresso dell'abitazione. Per i carabinieri di Milano sul dispenser (oltre alle due impronte di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l'omicidio) "vi sono numerose impronte papillari sovrapposte che sarebbero state cancellate se il dispenser fosse stato lavato dal sangue" e nel lavandino la presenza di 4 capelli neri lunghi "attestano ovviamente che il lavandino non è mai stato lavato dalla presenza di sangue. Diversamente, i capelli presenti nel lavabo sarebbero stati portati via dall'acqua".
Una tesi smentita dalla stessa Procura di Pavia nella prima archiviazione, di otto anni fa, contro l'indagato Sempio. Un'ipotesi "priva di fondamento logico dal momento che è processualmente accertato che l'assassino aveva le mani imbrattate di sangue e che si è recato in bagno per lavarsi". Il sangue, liquido e solubile in acqua, "viene lavato molto più facilmente dei capelli che, stante la loro forma e lunghezza rimangono molto più facilmente sul fondo della vasca anche dopo il lavaggio del sangue" e si tratta dei capelli di Chiara "recisi a causa dei colpi inferti e rimasti sulle mani insanguinate dell'assassino; la loro presenza attesta semmai che lo stesso si è effettivamente lavato le mani". È peraltro "verosimile che l'assassino non si sia soffermato per verificare l'effetto del risciacquo, ma si sia allontanato rapidamente dalla scena".
I carabinieri sono intenzionati anche ad approfondire un'impronta digitale trovata sulla maniglia della porta di ingresso (ritenuta allora non utile dal Ris di Parma) su cui "non appare sia stata eseguita alcuna indagine biologica mirata ad accertare se quel contatto possa essere stato lasciato da una mano sporca di sangue (della vittima o di altri) o se fosse altra sostanza". Una tesi "oltre che logicamente fallace, non è di alcuna utilità investigativa" essendo stata osservata tre giorni dopo il delitto e trovandosi accanto alla serratura. Una porta toccata da Stasi e da soccorritori e investigatori. "Le tracce papillari, al pari del Dna, non sono databili. È impossibile sapere se quella traccia sia stata deposta il giorno del delitto o nei giorni precedenti (o addirittura in quelli successivi), basti pensare che in sede di rilievo sono state trovate anche le impronte papillari" di alcuni carabinieri coinvolti nelle indagini e di un falegname intervenuto tempo prima nella villetta per effettuare alcuni lavori. Per queste ragioni, concludeva l'archiviazione, "è evidente la totale irrilevanza investigativa della traccia segnalata".
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - ''Per la sua posizione geografica strategica al centro del Mediterraneo, l’Italia rappresenta un ponte energetico tra Europa, Nord Africa e Medio Oriente''. Terna, presentando il piano di sviluppo 2025, conferma gli interventi di interconnessione con l’estero, al fine di ''garantire sicurezza, sostenibilità ed efficienza, tramite la possibilità di mutuo soccorso tra sistemi interconnessi. In aggiunta, queste infrastrutture costituiscono un fondamentale strumento di flessibilità per condividere risorse di generazione e capacità di accumulo, a fronte della variabilità della produzione rinnovabile''.
Tra i principali progetti pianificati Terna segnala 'Sa.Co.I.3', il progetto di ammodernamento e potenziamento dell’attuale interconnessione tra Sardegna, Corsica e Toscana, il progetto di interconnessione tra Italia e Tunisia 'Elmed', il raddoppio interconnessione Italia-Grecia, che ''consentirà la gestione in sicurezza dell’intera Zona Sud e favorirà approvvigionamenti efficienti di energia, grazie alla possibilità di abilitare nuove risorse attraverso il coupling del mercato elettrico e di mantenere lo scambio di energia tra i due Paesi anche in presenza di manutenzioni''.
Inoltre, nel piano di sviluppo 2025 sono presenti ulteriori progetti di interconnessione, noti come 'Merchant lines', a cura di altri promotori e/o non titolari di concessioni di trasporto. Il numero di tali iniziative ha subito un’accelerazione negli ultimi anni. Risultano in fase di avvio consultazione 11 richieste per oltre 12 Gw di capacità. Terna segnala che la gestione delle richieste di connessione alla rete in alta tensione, principalmente concentrate al sud e nelle isole, permette di ''avere una visione sistemica delle future evoluzioni degli impianti rinnovabili e dei sistemi di accumulo, così da realizzare uno sviluppo sinergico delle infrastrutture e garantire la massima efficienza nella realizzazione delle opere di rete''.
Secondo i dati di Terna, al 31 dicembre 2024, risultano 348 Gw di richieste di connessione per impianti rinnovabili (di cui 152 Gw di solare, 110 Gw di eolico on-shore e 86 Gw di eolico off-shore) e 277 Gw per sistemi di accumulo. Questi numeri, che ''superano ampiamente il fabbisogno nazionale individuato dal documento di descrizione degli scenari 2024 Terna-Snam e dai target nazionali, confermano che il Paese rappresenta una significativa opzione di investimento, anche grazie a meccanismi legislativi di sostegno alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili e ad una regolamentazione che ne incentiva lo sviluppo'', secondo la società.
In aggiunta, nell’ultimo biennio si è registrata una crescita delle richieste anche per gli utenti di consumo, che prelevano direttamente energia dalla rete di trasmissione nazionale e includono, ad esempio, impianti ad alto consumo energetico. Le richieste di connessione per questi utenti possono riguardare sia l’adeguamento di impianti già operativi sia la connessione di nuovi impianti alla rete. Tale tendenza è attribuibile per larga parte ai centri di elaborazione (data center): al 31 dicembre 2024 le richieste erano pari a circa 30 Gw, dato annuale 24 volte superiore rispetto a quello del 2021. Tali richieste sono principalmente localizzate nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia.
Terna annuncia che ''con lo scopo di favorire una sempre più ampia abilitazione delle rinnovabili e per garantire un’elevata qualità del servizio, in sinergia con i concessionari del servizio di distribuzione, è stato individuato un set di Cabine primarie da potenziare o da connettere alla Rete di trasmissione nazionale''. Il trend di tali richieste di connessione si è ulteriormente ampliato per effetto dei fondi messi a disposizione nell’ambito del Pnrr. Terna ha definito un approccio di gestione delle richieste di connessione basato sulla definizione di 76 'microzone' che ''consentono di modellare in modo efficace un perimetro all’interno del quale studiare soluzioni di connessione e quantificare la capacità rinnovabile addizionale che può essere integrata nella rete''.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Dallo sviluppo di infrastrutture abilitanti e innovative alla garanzia di stabilità e sicurezza della rete elettrica, passando per la risoluzione delle congestioni locali. Sono gli obiettivi del piano di sviluppo 2025 presentato da Terna. ''Considerato il complesso e sfidante contesto elettrico'' Terna comunica di aver ''svolto una importante attività di definizione delle priorità di sviluppo. Sono stati privilegiati gli interventi che offrono il massimo valore per il sistema, individuando soluzioni 'capital light' al fine di ridurre i costi e massimizzare l'efficacia degli investimenti necessari alla transizione energetica''.
Gli interventi previsti dal piano, che consentiranno di operare con una visione di lungo termine in considerazione delle esigenze della rete, rispondono alla necessità di ''sviluppare infrastrutture abilitanti e innovative, funzionali al raggiungimento della capacità obiettivo efficiente, per aumentare i limiti di transito tra le sezioni di mercato e massimizzare lo scambio di energia''. Il programma prevede anche di ''risolvere le congestioni locali, garantendo l’esercizio in sicurezza all’interno delle zone di mercato, tramite la pianificazione di interventi intrazonali''.
Terna punta inoltre a ''rispondere in modo efficiente a tutte le richieste di connessione alla rete attraverso la definizione di un nuovo modello, la Programmazione territoriale efficiente''. Infine sarà garantita ''la stabilità e la sicurezza della rete elettrica e l’integrazione dei mercati tramite le interconnessioni con l’estero, che consentono una gestione flessibile e bilanciata delle risorse energetiche, favorendo gli scambi tra le reti nazionali''.
Nell’orizzonte temporale del piano di sviluppo 2025, la maggioranza degli interventi previsti in esercizio entro il 2030 ha ottenuto l’autorizzazione o è già in fase di autorizzazione. Tra questi figurano le principali opere infrastrutturali dell’azienda, come Tyrrhenian Link, il collegamento hvdc sottomarino a 500 kV che unirà la Sicilia alla Campania e alla Sardegna. ''L’opera consentirà una maggiore integrazione tra le diverse zone di mercato e un più efficace utilizzo dei flussi di energia proveniente da fonti rinnovabili''. L’opera sarà completata entro il 2028.
Tra le opere principali Terna segnala Adriatic Link: il collegamento hvdc tra Abruzzo e Marche da 1.000 MW di potenza lungo circa 250 km, di cui 210 km sottomarini. L’entrata in esercizio è prevista per il 2029. Entro il 2034 sono poi previsti ulteriori rinforzi infrastrutturali tra cui la Dorsale Adriatica: collegamento in corrente continua tra Foggia e Forlì che garantirà il rafforzamento del corridoio adriatico, permettendo un incremento sostanziale della capacità di scambio.
Terna prevede inoltre la realizzazione di importanti infrastrutture che hanno l’obiettivo di aumentare il livello di sicurezza della rete e la capacità intrazonale. Si tratta di interventi che favoriscono lo scambio di energia all’interno della stessa zona di mercato, funzionali all’integrazione delle fonti rinnovabili e alla risoluzione delle congestioni di rete a livello locale. Tra le opere previste, tre collegamenti a 380 kV in Sicilia (Chiaramonte Gulfi-Ciminna, Caracoli-Ciminna e Paternò-Priolo) e uno in Lombardia (Milano-Brescia).
Il Piano di Sviluppo 2025 di Terna si pone l’obiettivo di estrarre maggior valore dagli asset esistenti, tramite interventi di tipo 'capital light', che si basano su strumenti e soluzioni innovative e che si affiancano ai tradizionali interventi infrastrutturali, consentendo di perseguire rilevanti benefici per la rete. L’attività di Terna di pianificazione della futura rete elettrica può contare oggi su iter di approvazione semplificati per le grandi infrastrutture da parte di Arera e Mase. In particolare, l’Autorità, attraverso il meccanismo dell’approvazione per fasi, ha semplificato il processo fornendo strumenti per velocizzare il percorso di progettazione, autorizzazione e realizzazione.
Anche a valle delle recenti semplificazioni normative ''è stato possibile raggiungere una significativa riduzione dei tempip''. La realizzazione delle infrastrutture sarà supportata anche da strumenti che assicurano e garantiscono la sicurezza e la flessibilità del sistema. Su tutti, il Capacity market con cui Terna si approvvigiona di capacità tramite contratti aggiudicati attraverso aste competitive, e il Macse (Meccanismo per l’approvvigionamento di capacità di stoccaggio elettrico). La prima asta del Macse sarà svolta da Terna il prossimo 30 settembre.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Martedì prossimo, 18 marzo, alle ore 10, presso la Sala Koch del Senato, le commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato svolgeranno l'audizione di Mario Draghi in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea. L'appuntamento verrà trasmesso in diretta webtv.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Ad un mese dalla finale del festival della canzone italiana 2025, nella classifica dei singoli brani è ancora Sanremomania, con ben 13 brani passati in gara al Teatro Ariston nelle prime 13 posizioni. E questo fa segnare all'edizione 2025 un nuovo record rispetto agli ultimi anni, per numero di brani di Sanremo nella top ten ad un mese dal festival: se infatti quest'anno sono 10 (cioè l'intera top ten è composta da brani in gara al festival un mese fa), l'anno scorso era stati 7 come nel 2023, nel 2022 e nel 2021 erano stati 8 e nel 2024.
Nella top ten dei singoli infatti, al primo posto c'è proprio il brano vincitore del festival: 'Balorda Nostalgia' di Olly. Al secondo 'La cura per me' di Giorgia, al terzo 'Incoscienti giovani' di Achille Lauro, al quarto 'Battito' di Fedez, al quinto 'Cuoricini' dei Coma_Cose, al sesto 'Volevo essere un duro' di Lucio Corsi, al settimo 'Fuorilegge' di Rose Villain, all'ottavo 'La mia parola' di Shablo feat Joshua e Tormento, al nono 'Tu con chi fai l'amore' dei The Kolors, al decimo 'La tana del granchio' di Bresh. Ma l'elenco sanremese prosegue ininterrotto fino alla tredicesima posizione, con 'Anema e core' di Serena Brancale all'undicesimo posto, 'Chiamo io chiami tu' di Gaia al dodicesimo e 'Il ritmo delle cose' di Rkomi al tredicesimo.
Tra gli album l'arrivo di Lady Gaga con 'Mayhem' si piazza in vetta e scalza dalla prima posizione 'Tutta vita', l'album di Olly, che scende al terzo posto, per fare spazio a 'Vasco Live Milano Sansiro', che entra al secondo posto. In quarta posizione 'Dio lo sa - Atto II' di Geolier, in quinta entra direttamente 'Vita_Fusa' dei Coma_Cose, in sesta 'Debi tirar mas fotos' di Bad Bunny, in settima 'Tropico del capricorno' di Guè, in ottava posizione 'Locura' di Lazza, in nona 'È finita la pace' di Marracash e in decima chiude la top ten 'Icon' di Tony Effe. Mentre la compilation di Sanremo 2025 scende dal nono al quindicesimo posto.
Tra i vinili, è primo il 'Vasco Live Milano Sansiro', al secondo posto 'Mayhem' di Lady Gaga e al terzo la compilation 'Sanremo 2025'.
Roma, 14 mar. (Labitalia) - "Questo appuntamento, unico nel suo genere, rappresenta un fondamentale momento di approfondimento per i settori della logistica e del trasporto, offrendo un'opportunità unica di incontro, aggiornamento e confronto sulle sfide e le opportunità che caratterizzano un comparto strategico per i cittadini, per le famiglie e le imprese, con un approccio fortemente connesso alla sostenibilità ambientale". Lo scrive il presidente del Senato, Ignazio La Russa, nel messaggio inviato all'evento di chiusura della quarta edizione di "Let Expo", organizzato da Alis a Verona.
"Se i numeri registrati lo scorso anno rappresentano la migliore e più efficace sintesi della rilevanza del vostro operato - penso ai 400 espositori e alle oltre 100mila presenze complessive -, sono certo che i tanti appuntamenti che caratterizzano il programma di quest'anno, con incontri strategici, conferenze di settore, seminari interattivi, workshop pratici e dimostrazioni innovative, sapranno rappresentare un ulteriore momento di crescita e di affermazione", prosegue La Russa, che conclude: "Nel ribadire il mio plauso per il vostro prezioso contributo in un ambito di particolare rilievo per gli interessi nazionali, anche in relazione alle attuali dinamiche geo-politiche globali, l'occasione mi è gradita per inviarvi i miei più cordiali saluti".
Roma, 14 mar. - (Adnkronos) - In occasione di Didacta 2025 a Firenze, l'evento di riferimento per la formazione e l'innovazione nel settore scolastico, Acer ha ribadito il proprio impegno nel supportare l'evoluzione della didattica attraverso soluzioni tecnologiche all'avanguardia. La partecipazione dell'azienda alla fiera ha offerto l'opportunità di presentare le ultime novità in termini di prodotti e servizi, con un focus particolare su prestazioni, sicurezza, intelligenza artificiale e design.
"La presenza di Acer a Didacta sottolinea l'importanza del settore education, un ambito in cui siamo orgogliosamente leader di mercato," ha dichiarato Angelo D'Ambrosio, General Manager di Acer South Europe. "Didacta rappresenta un'occasione fondamentale per incontrare docenti, studenti e rivenditori specializzati nel mondo scolastico. In questa sede, presenteremo le nostre più recenti innovazioni di prodotto, caratterizzate da prestazioni elevate, sicurezza, funzionalità di IA e design robusto. Queste caratteristiche sono indispensabili per una didattica innovativa ed efficace."