Uno dei paesi più ricchi del mondo intende offrire a oltre 100.000 persone nate e cresciute sul suo territorio la nazionalità dell’Unione delle Comore, un poverissimo arcipelago a est delle coste africane. La generosità degli emiri consentirebbe ai neo-cittadini comoriani di rimanere in Kuwait, come stranieri.
Questa sarebbe, dunque, la soluzione definitiva suggerita dal governo del Kuwait al problema dell’apolidia in patria di decine di migliaia di persone, i bidun. In cambio, l’Unione delle Comore, stato membro della Lega araba, beneficerebbe di un po’ di investimenti da parte degli emiri.
Quella dei bidun è una storia che va avanti da oltre 50 anni.
Alcuni di loro scontano il mero fatto di essere nati da madre kuwaitiana e padre straniero. In maggior parte, però, sono discendenti di famiglie beduine, comunità nomadi che attraversavano senza problemi i territori della regione del Golfo persico prima della costituzione degli Stati nazionali.
Nel 1959, due anni prima dell’indipendenza, il governo proclamò la Legge sulla nazionalità che definiva cittadini kuwaitiani coloro che risiedevano nel territorio almeno dal 1920 e che avevano mantenuto una residenza stabile entro i confini di quello che sarebbe poi diventato lo Stato del Kuwait. Uno status inferiore, ma sempre di cittadinanza, era previsto per le persone residenti almeno dal 1945.
La maggioranza della popolazione ottenne la cittadinanza o la naturalizzazione. Gli altri – chi non aveva i requisiti, chi li aveva ma non se li vide convalidati, chi non conosceva la legge, chi non avendo compreso l’importanza giuridica del concetto di cittadinanza non fece richiesta o chi non volle chiederla per non perdere il tradizionale stile di vita – diventarono bidun. Il censimento nazionale del 1965 fece il resto.
La discriminazione verso i non cittadini è diventata acuta negli anni Ottanta. Da allora, i bidun non hanno accesso alle scuole pubbliche, alle cure mediche gratuite e ad alcuni impieghi nell’amministrazione dello Stato.
A peggiorare le cose, l’invasione irachena dell’agosto 1990. Dopo la liberazione del Kuwait, molti bidun sono stati accusati di collaborazionismo, sono stati licenziati da tutti gli impieghi pubblici e dalle forze armate e di polizia ed emarginati dalla comunità civile.
Il governo sostiene che la maggior parte dei bidun è costituita da “residenti illegali”, cittadini di altri paesi del Golfo che hanno distrutto i loro documenti per ottenere le agevolazioni derivanti dalla nazionalità kuwaitiana. La maggior parte dei bidun afferma di possedere titoli legali che provano la loro permanenza fissa e duratura nel territorio.
Di fronte alle proteste iniziate dai bidun nel 2011, sull’onda delle primavere arabe, il governo del Kuwait ha distribuito cibo e soldi promettendo anche di intervenire per porre fine alla discriminazione nei loro confronti ma, nei fatti, ha determinato che solo 34.000 di loro avrebbero avuto titolo alla nazionalità.
Chi, degli altri, ha tentato di ottenere la cittadinanza si è trovato di fronte al rifiuto degli organi della giustizia amministrativa, le decisioni dei quali si basano su criteri mutevoli e sono prive di trasparenza.
Riccardo Noury
Portavoce di Amnesty International Italia
Mondo - 17 Novembre 2014
Il Kuwait vuole comprare la cittadinanza di un altro paese per i suoi apolidi
Uno dei paesi più ricchi del mondo intende offrire a oltre 100.000 persone nate e cresciute sul suo territorio la nazionalità dell’Unione delle Comore, un poverissimo arcipelago a est delle coste africane. La generosità degli emiri consentirebbe ai neo-cittadini comoriani di rimanere in Kuwait, come stranieri.
Questa sarebbe, dunque, la soluzione definitiva suggerita dal governo del Kuwait al problema dell’apolidia in patria di decine di migliaia di persone, i bidun. In cambio, l’Unione delle Comore, stato membro della Lega araba, beneficerebbe di un po’ di investimenti da parte degli emiri.
Quella dei bidun è una storia che va avanti da oltre 50 anni.
Alcuni di loro scontano il mero fatto di essere nati da madre kuwaitiana e padre straniero. In maggior parte, però, sono discendenti di famiglie beduine, comunità nomadi che attraversavano senza problemi i territori della regione del Golfo persico prima della costituzione degli Stati nazionali.
Nel 1959, due anni prima dell’indipendenza, il governo proclamò la Legge sulla nazionalità che definiva cittadini kuwaitiani coloro che risiedevano nel territorio almeno dal 1920 e che avevano mantenuto una residenza stabile entro i confini di quello che sarebbe poi diventato lo Stato del Kuwait. Uno status inferiore, ma sempre di cittadinanza, era previsto per le persone residenti almeno dal 1945.
La maggioranza della popolazione ottenne la cittadinanza o la naturalizzazione. Gli altri – chi non aveva i requisiti, chi li aveva ma non se li vide convalidati, chi non conosceva la legge, chi non avendo compreso l’importanza giuridica del concetto di cittadinanza non fece richiesta o chi non volle chiederla per non perdere il tradizionale stile di vita – diventarono bidun. Il censimento nazionale del 1965 fece il resto.
La discriminazione verso i non cittadini è diventata acuta negli anni Ottanta. Da allora, i bidun non hanno accesso alle scuole pubbliche, alle cure mediche gratuite e ad alcuni impieghi nell’amministrazione dello Stato.
A peggiorare le cose, l’invasione irachena dell’agosto 1990. Dopo la liberazione del Kuwait, molti bidun sono stati accusati di collaborazionismo, sono stati licenziati da tutti gli impieghi pubblici e dalle forze armate e di polizia ed emarginati dalla comunità civile.
Il governo sostiene che la maggior parte dei bidun è costituita da “residenti illegali”, cittadini di altri paesi del Golfo che hanno distrutto i loro documenti per ottenere le agevolazioni derivanti dalla nazionalità kuwaitiana. La maggior parte dei bidun afferma di possedere titoli legali che provano la loro permanenza fissa e duratura nel territorio.
Di fronte alle proteste iniziate dai bidun nel 2011, sull’onda delle primavere arabe, il governo del Kuwait ha distribuito cibo e soldi promettendo anche di intervenire per porre fine alla discriminazione nei loro confronti ma, nei fatti, ha determinato che solo 34.000 di loro avrebbero avuto titolo alla nazionalità.
Chi, degli altri, ha tentato di ottenere la cittadinanza si è trovato di fronte al rifiuto degli organi della giustizia amministrativa, le decisioni dei quali si basano su criteri mutevoli e sono prive di trasparenza.
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Roma, 19 dic (Adnkronos) - "La Corte di Cassazione ha stabilito in maniera chiara e netta che la competenza di decidere se un Paese è o meno sicuro spetta al governo. Quindi non i singoli giudici. La conferma che il governo Meloni aveva ragione e che le sentenze con cui i giudici hanno annullato i trasferimenti in Albania dei migranti sbarcati illegalmente sulle nostre coste erano sbagliate. Cosa diranno adesso Schlein e gli altri esponenti delle opposizioni, insieme alla grancassa dei loro house organ, dinanzi a questa sentenza che decreta il loro ennesimo fallimento? Per quanto ci riguarda continuiamo ad andare avanti, consapevoli che tutta l’Europa guarda all’Italia come un modello nel contrasto all’immigrazione illegale”. Lo dichiara il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia Lucio Malan.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "Hai fatto la cosa giusta". Così, su Twitter, Elon Musk replica al commento che Matteo Salvini aveva fatto al post del patron di Tesla sul caso Open arms.
Roma 19 dic (Adnkronos) - "I delinquenti sono quelli che vogliono Salvini in galera". Lo scrive sui social Francesco Storace.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "Sono contento che abbiano assolto Renzi, che non finisca in galera. Io voglio vincere le elezioni perchè la gente ci dà fiducia, non perchè arrestano tutti gli altri". Lo ha detto Matteo Salvini in una diretta social.
Roma 19 dic (Adnkronos) - - "Se mi dichiareranno innocente sarò felice per i miei figli e perchè ho fatto il mio lavoro. Se mi dichiareranno colpevole sarò felice lo stesso, non mi pento assolutamente di nulla, ho difeso da immigrati clandestini e trafficanti il mio Paese. Sarebbe un problema per l'Italia e gli italiani, con un ministro che bloccava gli sbarchi condannato immaginate voi trafficanti, scafisti e delinquenti dove verrebbero e porterebbero questi disperati". Lo ha detto Matteo Salvini in una diretta social alla vigilia della sentenza del processo Open Arms.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "Chi non rischia, chi non va oltre l'ostacolo, non va da nessuna parte. Io, da 51enne, comunque vada sarò orgoglioso di quello che ho fatto". Lo ha detto Matteo Salvini in una diretta social alla vigilia della sentenza su Open Arms.
"Se mi assolvono ho fatto il mio dovere e bye bye sinistra. In in caso di condanna ricorreremo in appello, la riterrei una profonda ingiustizia e un danno non a me ma al Paese", ha spiegato il ministro dei Trasporti proseguendo: "Mi stanno arrivando migliaia di messaggi, ho preso l'aereo e tanti ragazzi mi hanno detto non mollare, bravo. Sono felice".
"Paura zero, mi sento come la canzone di Venditti 'Notte prima degli esami', mi sento orgoglioso e felice di quello che ho fatto. Domani è la sentenza di primo grado, poi c'è l'appello e la Cassazione. Tolgo qualche gioia a chi mi augura il male, se mi condannano farò ricorso e continuerò a fare il mio lavoro", ha proseguito Salvini.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "A me pare di poter dire, non temendo di essere smentita, che senza Nino Andreatta i cattolici democratici, dopo il terremoto della Prima Repubblica e il tracollo della Dc, probabilmente non avrebbero maturato la scelta del centrosinistra. E soprattutto che senza di lui non avrebbe visto la luce l’Ulivo, che io considero davvero una grande 'invenzione' politica". Lo ha detto Anna Ascani, cicepresidente della Camera e deputata dem, intervenendo alla presentazione del numero della rivista 'Arel' su Nino Andreatta.
"E non parlo di forma, di contenitore, ma di idealità, della possibilità che Andreatta e altri videro e perseguirono, di unire le culture popolari e riformiste di centro e di sinistra chiudendo la lunga stagione che le aveva viste contrapposte e, ancora più importante, di consentire attraverso la 'contaminazione' tra cultura cattolico-democratica, socialista, laica, ambientalista la nascita del Partito democratico. Non sarei qui oggi, non saremmo qui in tanti, senza la visione di Nino Andreatta e di chi allora credette in quella scommessa", ha aggiunto.