Dopo essere stato annunciato al Circo Massimo e al Parlamento europeo con una conferenza stampa, venerdì scorso è stata ufficialmente presentata alla Corte di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per indire un referendum consultivo sull’euro.

La proposta apre alcune considerazioni di carattere tecnico: l’art.71 della Costituzione prevede che il popolo possa esercitare l’iniziativa legislativa attraverso la presentazione di 50 mila firme. Non vi è tuttavia alcun obbligo delle Camere di porre effettivamente in discussione il progetto. Anche nel caso in cui i parlamentari del M5S riuscissero ad imporre la “calendarizzazione”, l’iter per la sua approvazione non potrebbe che essere quello previsto per l’art.138 – per le leggi di revisione della Costituzione e le alte leggi costituzionali (in quanto come nel 1989 si tratterebbe di introdurre un’ipotesi di referendum di “indirizzo” ad hoc, non prevista in Costituzione). Quindi, due delibere ad intervallo non minore di tre mesi in ognuna delle due Camere e per l’approvazione è prevista la maggioranza assoluta.

Si pongono ora due problemi per il Movimento Cinque Stelle: il raggiungimento dell’alto quorum necessario e, in secondo luogo, la possibilità, prevista sempre secondo l’art.138, di un referendum popolare per richiesta di un quinto dei membri della Camera, un quinto dei Consigli regionali o 500 mila elettori qualora la legge non venga approvata in entrambe le Camere con i due terzi dei voti. A dicembre 2015, in altre parole, potremmo essere chiamati a votare non sul referendum sull’euro, ma sul referendum sul referendum.

Italia5Stelle, ultimo giorno del M5S al Circo Massimo

Fino a qui il discorso è giuridico. Per quel che riguarda l’aspetto politico, nulla vieta che, raccogliendo tre milioni di firme come annunciato, possa nascere una discussione importante in Parlamento. A tal proposito, viene spesso indicato come esempio il referendum consultivo che si è tenuto il 18 giugno 1989, contestualmente alle elezioni europee del 1989, per il conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo eletto nella stessa occasione. Il referendum è stato possibile solo grazie all’approvazione della legge costituzionale 3 aprile 1989, votata quasi all’unanimità dal Parlamento italiano. Un aspetto interessante su quella vicenda è che la proposta nacque dalla società civile, da associazioni e Ong federaliste, per poi esser fatta propria dalla politica in una fase in cui, la caduta del muro di Berlino, aveva creato un clima di fiducia cieca nell’integrazione europea.

Ecco oggi stiamo vivendo una situazione opposta: la società civile ed un numero crescente di forze politiche hanno preso coscienza dei drammi economici e sociali creati al nostro paese dalla moneta unica europea. Certo, l’iniziativa lanciata dal M5S rappresenta l’unica cosa che una forza d’opposizione può fare. Ma se il Movimento non saprà aprire un dialogo costruttivo e inclusivo, come si potranno raggiungere i due terzi dei voti necessari per evitare il referendum sul referendum? Ma perché, invece di dialogare con Renzi sulla legge elettorale e sul prossimo presidente della Repubblica, non aprire un tavolo di discussione con tutti coloro che da Fassina a Fitto, passando per Salvini e Meloni (molti per pura opportunismo politico è vero) si dichiarano contrari alla moneta unica?

Un comitato di liberazione nazionale dall’euro che sia espressione della società civile potrebbe farcela e il Movimento Cinque Stelle tornerebbe a dettare l’agenda politica. Ha un vantaggio rispetto a tutti gli altri che deve sfruttare: è l’unica forza politica ad avere la credibilità e legittimità per guidare questa lotta di liberazione, non essendo compromessa, al contrario di tutti gli altri citati, da vent’anni di governo e di spinta verso il baratro del nostro paese.

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