Al Forum di Assago per la data milanese del tour, Nutini racconta al fattoquotidiano.it il suo ultimo album: "E' un disco che parla d'amore nelle sue varie sfaccettature. Il momento del mio lavoro che preferisco? La fase creativa, quando nasce una canzone"
Ventisette anni e già una carriera quasi decennale: la storia musicale di Paolo Nutini, scozzese di origini toscane, inizia a Paisley, nella bottega di Fish and Chips del padre. Paolo dà una mano nell’attività dei suoi ma, poco più che diciottenne, trova la sua chance per cambiare mestiere grazie a un’esibizione casuale davanti al pubblico giusto: seduto in platea ad ascoltarlo cantare in occasione di una festa cittadina c’è Ken Nelson, già produttore di Coldplay e Kings of Convenience. E’ proprio lui a notare il giovane cantautore e a produrre il suo primo disco, These Streets, che raggiunge il milione e mezzo di copie solo nel Regno Unito.
Il terzo lavoro dell’artista scozzese, Caustic Love, è un disco di maniera nel quale Paolo dà spazio alla sua vocalità “nera” facendo sentire forti e chiare le sue fonti d’ispirazione (Marvin Gaye e Joe Cocker, su tutti). Incontriamo Nutini poco prima del live milanese, al Forum di Assago: “Amo cantare per il mio pubblico. È una cosa diversa ogni volta perché dipende dalla gente che hai davanti, dal luogo in cui suoni e naturalmente da te. Ho già suonato a Milano in passato: per il primo disco, ad esempio, mi esibii al Rolling Stone, un bel locale che adesso non c’è più”. È stato il nonno, toscano di Barga (Lucca), ad avvicinarlo alla musica e sempre dal ramo paterno è arrivata la passione per Celentano, Buscaglione e per i Fratelli La Bionda: “L’ultima volta che sono stato a Milano ho pranzato con loro. Sono molto simpatici e ho un debole per “I Wanna be your lover”, un classico”.
Il momento che preferisce del suo lavoro? “Il processo creativo. Quando hai un’idea che diventa melodia e allora aggiungi la linea di basso, le chitarre, le voce e alla fine ascolti il risultato. È la fase sulla quale hai maggior controllo, prima di “perdere” il brano, di regalarlo a chi lo ascolterà e lo giudicherà”. E proprio i giudizi, le critiche, all’inizio non sono state semplici da gestire: “È successo tutto così in fretta! Avevo diciotto anni ed ero circondato da gente che mi diceva cosa dovessi o non dovessi fare. Adesso ho una consapevolezza diversa, sono padrone delle mie scelte e so che non si può piacere a tutti”, dice sorridendo. Il suo ultimo lavoro ha un titolo evocativo, Caustic Love: “È un disco che parla d’amore nelle sue varie sfaccettature, e che per questo si presta all’interpretazione di chiunque lo ascolti. L’amore cambia continuamente, si evolve: innamorarsi vuol dire esporsi, essere consapevoli che una storia può darti la più grande estasi della tua vita e, allo stesso tempo, spezzarti il cuore. Vuol dire rendersi vulnerabili di fronte all’altro”.
Parla molto, Paolo, con la tranquillità di chi è talmente abituato ai palcoscenici da non sentire alcuna tensione. E se le sue fonti di ispirazione vanno da Nat King Cole a Sam Cooke, passando per il rock’n’roll anni ’50, tra gli artisti che ascolta e apprezza, oggi, ci sono Damien Rice, Ray LaMontagne e “Charles Bradley, un anziano e saggio uomo che fa della musica fantastica”. È del parere, Paolo Nutini, di trovarsi in un’epoca nella quale la musica ha smesso di essere considerata un bene prezioso: “Spotify e le altre piattaforme simili – dice – hanno reso l’ascolto più semplice e accessibile e offrono ai musicisti un modo per farsi conoscere. Parallelamente, però, hanno tolto valore all’opera, rendendo normale l’idea che la musica debba essere gratis“. Prima di salire sul palco per il live milanese, Paolo Nutini ricorda i viaggi fatti nei cinque anni trascorsi tra il secondo album (Sunny Side Up) e Caustic Love: “Il tempo vola, sono stati anni pieni, passati troppo velocemente. Siamo stati in tour, in studio per Caustic love e poi ho viaggiato. Naturalmente sono stato in Toscana, a Barca, il paese di mio nonno”.