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“Isis, lo Stato del terrore”: in un libro inchiesta la “modernità” dei decapitatori

I media raccontano il lato più sanguinario dello Stato islamico. Ma il gruppo ha saputo utilizzare al meglio i fondi arrivati dai Paesi arabi per abbattere il regime siriano, controlla risorse strategiche, attrae giovani jihadisti da tutto il mondo. L'economista Loretta Napoleoni presenta il suo nuovo lavoro

Decapitazioni, pulizia etnica, applicazione integralista della sharia. E’ quello che sappiamo attraverso i media dell’Isis, o Is, il Califfato islamico che oggi controlla in Medio Oriente un territorio grande quanto il Texas. Ma chi sono gli uomini del Califfato, da dove vengono, come hanno fatto a diventare così potenti, e fin dove possono arrivare? A queste domande risponde Loretta Napoleoni nel libro “Isis, Lo Stato del Terrore”, pubblicato da Feltrinelli (144 pagine, 13 euro), in libreria da domani. “Quel che distingue questa organizzazione da ogni altro gruppo armato che l’ha preceduta e ciò che ne spiega l’enorme successo sono la sua modernità e il suo pragmatismo”, scrive Napoleoni, rimarcando le differenze tra l’organizzazione guidata da Abu Bakhr al-Baghdadi dai talebani e da al Qaeda. Loretta Napoleoni, economista, blogger di ilfattoquotidiano.it, è tra i massimi esperti di terrorismo, e ha pubblicato diversi studi su finanziamento di gruppi terroristici e riciclaggio. Tra i suoi libri, “Terrorismo S.p.A.” (2005), “Economia Canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale” (2008), e “Democrazia vendesi. Dalla crisi economica alla politica delle schede bianche” (2013). Pubblichiamo il testo che Loretta Napoleoni ha scritto per ilfattoquotidiano.it in occcasione dell’uscita del nuovo libro.

La storia si ripete. I soldati americani che vengono inviati in Iraq per combattere lo stato islamico sono “consulenti”, le missioni di ricognizione aeree dei fedeli alleati europei, tra cui anche noi italiani, diventano azioni di guerra, i costi sono proibitivi: 300.000 dollari l’ora per gli americani, un milione di euro la settimana per l’Italia, sembra di tornare indietro nel tempo, agli anni Sessanta, all’apice della guerra fredda, durante quella nel Vietnam. Ma non è così. Ciò che distingue la seconda decade del XXI secolo dal mondo degli anni sessanta è il declino dell’importanza politica occidentale nel Medio Oriente in particolare e nel villaggio globale in generale. La leadership dell’Isis non solo ha intuito questa verità l’ha metabolizzata, quella occidentale, invece, ancora non se ne è accorta.

Già nel 2011 lo Stato Islamico aveva capito che un intervento straniero congiunto, simile a quello attuato in Libia o in Iraq, non sarebbe mai stato possibile in Siria. Sulla base di questa analisi, ha sfruttato a proprio vantaggio, per di più passando quasi inosservata, il conflitto siriano – versione contemporanea della guerra per procura, dove sono schierati numerosi sponsor e gruppi armati. Mirando a un cambiamento di regime in Siria, paesi come il Kuwait, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno attivamente foraggiato una pletora di organizzazioni armate, delle quali l’Isis è soltanto una. Tuttavia, anziché combattere la guerra per procura degli sponsorizzatori, lo Stato Islamico ha usato il loro denaro per impiantare i propri capisaldi territoriali in regioni economicamente strategiche, come le ricche aree petrolifere della Siria orientale. Nessuna precedente organizzazione armata mediorientale era stata in grado di promuoversi quale nuovo potere politico della regione e, per di più, con il denaro dei ricchi sponsor del Golfo. Altro elemento nuovo è la popolarità dell’Isis, la facilità con la quale attrae giovani e meno giovani combattenti nel mondo musulmano. Qual è, in sintesi, la seduzione ultima dello Stato Islamico? Ecco una domanda che dobbiamo porci.

La guerra al Califfato costa 300mila dollari l’ora agli americani, un milione la settimana all’Italia

In parte questo fascino risiede nell’opportunità di riscattare dall’umiliazione compagni di fede in Medio Oriente, ma questa motivazione apparteneva già a molti attentatori suicidi occidentali dopo l’invasione dell’Iraq da parte delle forze della coalizione. Forse esiste qualcosa di più ambizioso che spinge i giovani musulmani ad aderire a questa jihad. La possibilità di partecipare alla costruzione di un nuovo ordine politico in Medio Oriente, alla creazione di uno stato moderno privo di razzismo e tensioni settarie – dopo aver fatto pulizia etnica, certo – rappresenta per molti un’opportunità senza precedenti. Potrebbe essere che i seguaci dell’Isis vedano nel Califfato una nazione non corrotta e incorruttibile, dotata di un profondo senso di fratellanza, una società priva delle sfide che le donne musulmane occidentali e occidentalizzate rappresentano per i maschi soggiogati da un sistema politico autoritario ed elitario, una nazione governata dall’onore, una società allo stesso tempo contemporanea e perfettamente in armonia con al Tawhid, l’unità dei fedeli ordinata da Dio? In verità, questa nazione idealistica non soltanto offre ai mussulmani la liberazione da secoli di umiliazione, ma rappresenta anche l’utopia politica sunnita per il Ventunesimo secolo, un potente edificio filosofico che per secoli gli studiosi hanno cercato, invano, di far nascere. Questa, in sintesi, è la moderna forza politica che fino all’estate 2014 l’Occidente e il resto del mondo hanno deciso di ignorare.

Se questa analisi è corretta, la seduzione ultima dello Stato Islamico poggia sulla sua capacità di incoraggiare anche giovani professionisti occidentali sunniti ad abbracciare questa utopia e di portarli a credere che il Califfato possieda la capacità di realizzarla, come la rivoluzione khomeinista fu capace di radunare la comunità sciita intorno all’utopia di uno stato islamico sciita e di infondere la certezza che fosse in grado di tradurre in realtà il sogno di un moderno Iran.