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Israele, Levy: “Non siamo alla terza Intifada, ma è solo questione di tempo”

L'editorialista di Haaretz, storico quotidiano della sinistra liberale: "Per adesso stiamo assistendo ad attacchi singoli, senza nessun gruppo di controllo dietro. Ma se le provocazioni dovessero continuare, i palestinesi potrebbero tornare a organizzarsi". Il processo di pace? "Non è mai iniziato, Israele non la vuole"

Gideon Levy, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz. Molti opinionisti in Israele, e non solo, cominciano ad utilizzare questo termine: è iniziata una terza Intifada?

“Non ancora, ma potrebbe essere imminente. Dico di no, per adesso, perché dietro i recenti attacchi palestinesi a militari e civili israeliani non c’è un’organizzazione, ma si tratta di atti singoli, di cani sciolti. L’Intifada, come la storia ci insegna, è una rivolta civile ma organizzata: dietro ai combattenti della prima Intifada c’era Yasser Arafat e anche il gruppo di Hamas. Oggi, invece, questa organizzazione non c’è”.

Il governo israeliano sostiene, però, che dietro ai recenti attacchi ci sia la mano di Hamas.

“È propaganda politica. Da una parte c’è Israele che ha bisogno di ricreare nella popolazione l’immagine del nemico che mette a rischio l’incolumità della popolazione. Dall’altra c’è un partito, Al Fatah, completamente allo sbando, che continua a perdere consensi sia a causa del tentativo fallito di creare un tavolo con Israele e Hamas, sia a causa della sua volontà di intavolare un dialogo con una controparte, il governo Netanyahu, che non ha la minima intenzione di scendere a patti con la Palestina: adesso cerca di sfruttare le provocazioni israeliane e incolpare Hamas per l’ultima esplosione di violenza così da ergersi a unico soggetto ‘ragionevole’ tra tutti quelli in gioco, ma non credo che questo gli restituirà consensi”.

Perché Netanyahu ha deciso di annunciare 1.060 nuovi insediamenti in West Bank proprio durante i colloqui di pace?

Henry Kissinger diceva che non esiste politica estera, ma solo politica interna. A Israele non interessa la pace, bensì mantenere lo status quo: tensione con la Palestina e continua conquista di territori in Cisgiordania. Questa è sempre stata la loro politica e non hanno intenzione di cambiarla. È anche l’unica politica che gli porta il consenso della popolazione e non li costringe a concessioni: dopo aver accettato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, la popolarità di Netanyahu ha raggiunto uno dei minimi storici perché usciva da sconfitto, senza aver eliminato il nemico Hamas. Tornando a mostrare i muscoli e ad appropriarsi di terreno, il premier dà il via nuovamente alla politica che gli ha portato tanto successo”.

Allo stesso modo, però, c’è da chiedersi perché i palestinesi hanno deciso di sferrare una serie di attacchi proprio adesso. La politica di Israele sui nuovi insediamenti è la stessa da anni.

“E’ la regola della goccia che fa traboccare il vaso. Dopo anni di provocazioni, di conflitti e false pacificazioni, la popolazione si è stancata. Non c’è, però, niente di organizzato, nemmeno piccoli gruppi autonomi, niente. Quando queste formazioni nasceranno, allora potremo parlare di Intifada”.

Parliamo dell’attentato al rabbino Yehuda Glick, sostenitore degli ideali di estrema destra. Quante persone in Israele appoggiano la sua causa?

“Veramente poche. Agli israeliani non interessa molto della questione sulla Moschea di Al Aqsa. Ma la politica di Glick accorpa ideali che, invece, stanno riscuotendo sempre maggiore appoggio da parte della popolazione. L’opinione pubblica si sta spostando sempre più verso posizioni di estrema destra. Questo per vari motivi: perché in appoggio alle provocazioni di Glick sono arrivate anche quelle del Likud e del governo (queste più importanti rispetto a quelle dell’attivista), perché la gente non crede più nella pace, perché non esiste una sinistra israeliana forte in grado di offrire un’alternativa valida”.

Questi attacchi influenzeranno il processo di pace?

“Non c’è nessun processo di pace. Israele non vuole la pace, non gli conviene, non rispetta le aspettative della popolazione e nemmeno gli ideali del governo”.

Usa e Paesi dell’Ue hanno più volte condannato la politica israeliana sugli insediamenti. Come viene vissuta questa situazione in Israele?

“Al governo Netanyahu non interessa se Usa o Ue condannano la sua politica. E’ vero, sono alleati strategici e storici, soprattutto gli Stati Uniti, ma una condanna non cambia lo stato delle cose. Se questi paesi decidessero, invece, di agire concretamente, allora la cosa cambierebbe. Se così non è, allora Netanyahu non se ne fa di niente del supporto dell’Occidente, possono fare anche da soli”.

Quali saranno le prossime scelte del Governo d’Israele e della Palestina?

“La situazione è destinata a peggiorare. Israele estremizzerà il suo atteggiamento, promuoverà leggi ancora più restrittive e le condizioni della popolazione palestinese a Gerusalemme peggioreranno. Di conseguenza, il malessere della controparte aumenterà, si assisterà a una radicalizzazione degli scontri e gli attacchi saranno sempre più frequenti. Nuovo conflitto? Quello è il timore. Se i palestinesi si organizzeranno, sarà la terza Intifada”.

Twitter: @GianniRosini