Stando alle previsioni del Tesoro, tra 2014 e 2019 il pil aumenterà di 144 miliardi e la differenza tra entrate e uscite della pubblica amministrazione toccherà i 70 miliardi. Ma secondo l'analisi dei dati condotta da due ricercatori dell'Istat lo scenario non regge
I consumi salveranno il Paese dal baratro. Permetteranno, attraverso tasse e contributi sociali, di aumentare il saldo fra entrate e uscite della Pubblica amministrazione. E nel 2018 annienteranno l’aumento del debito. Almeno sulla carta. Di tutto questo è convinto il ministero dell’Economia e delle finanze, che affida alla legge di Stabilità il compito di moltiplicare gli effetti benefici della crescita firmata Renzi. Le ottimistiche previsioni del governo sono tutte scritte nero su bianco nelle stime degli scenari della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza con relativa relazione di variazione. Descrivono una storia virtuosa che tuttavia, secondo una dettagliata analisi sui dati condotta dai ricercatori Istat Monica Montella e Franco Mostacci, cozza con la realtà delle cose. Anche perché, notano i due analisti, oltre ai consumi “bisogna aggiungere che vi sono anche aspetti fondamentali (come la qualità del sistema istituzionale, la qualità delle risorse umane, la coesione sociale, la disponibilità di tecnologie) che giocano un ruolo determinante per una crescita duratura”.
Del resto il quadro tendenziale del governo Renzi al netto delle misure previste nella manovra di Stabilità e delle riforme è “di per sé improntato a un ottimismo che sembra appartenere più al mondo della fantasia che a quello della realtà”, notano i due ricercatori. In esso la crescita cumulata nominale attesa tra il 2014 e il 2018 sarà del 9%, pari a 144 miliardi di euro. A dispetto del fatto che quest’anno si chiuderà con ogni probabilità con il terzo calo consecutivo del prodotto interno lordo (-0,3% stimato). Nelle previsioni del ministro Pier Carlo Padoan, l’incremento della ricchezza del Paese sarà figlio appunto soprattutto del miglioramento dei consumi (70%), ma anche degli investimenti lordi fissi (27%) e delle esportazioni nette (3 per cento). Grazie all’aumento del prodotto interno lordo, le casse pubbliche potranno quindi registrare un aumento delle entrate da 68 miliardi, pur in un contesto di flessione di 0,1 punti percentuali della pressione fiscale e di incremento della spesa pubblica (35 miliardi) che “se inefficiente – però – alimenta il debito sia attraverso maggiori disavanzi primari, sia attraverso un rallentamento della crescita”, è l’osservazione di Montella e Mostacci.
Il ragionamento contabile viene riprodotto e amplificato nelle stime programmatiche, quelle cioè che incorporano gli effetti della legge di Stabilità. Come? Sempre, rigorosamente, attraverso l’aumento del prodotto interno lordo nominale (173 miliardi, +11%) spinto dai consumi che arrivano a determinare nel 2018 un raddoppio del saldo primario, ovvero della differenza fra entrate e uscite della pubblica amministrazione: dai 27 miliardi del 2014 a poco più di 70 nel 2018. Un dato molto positivo che, nella visione del Tesoro, compenserà nel 2018 il valore negativo dell’indebitamento e farà aumentare lo stock di debito pubblico di soli 384 milioni. Un “lieto fine”, lo definiscono ironicamente i due analisti – “Sembra di raccontare una favola ai nostri figli con la conclusione e tutti vissero felici e contenti”, commentano – ricordando però subito dopo che il risultato positivo delle proiezioni del governo Renzi affonda le radici nel fatto che la spesa per interessi si mantenga bassa. Peccato che la Banca d’Italia non si senta di avallare la previsione. Anzi, nell’audizione sulla nota di aggiornamento al Def ha detto chiaramente che “la discesa del differenziale di rendimento dei titoli di Stato decennali rispetto agli analoghi titoli tedeschi (spread, ndr) non trova al momento riscontro”.