Energia pulita, praticamente illimitata e a costo zero o quasi: il sogno della fusione nucleare promette tutto questo, e Lockheed Martin pensa di riuscire ad arrivarci in appena 10 anni. Questa la notizia rimbalzata in tutto il mondo per accreditare la ricerca su un reattore compatto di nuova concezione da parte della casa produttrice del discusso caccia F35.
«Il nostro progetto di fusione compatta combina diversi sistemi alternativi di confinamento magnetico, prendendo il meglio da ciascuno, e offre una riduzione delle dimensioni pari al 90% rispetto ai progetti precedenti», ha spiegato Tom McGuire, capo del team che lavora su questa idea.
Perché questa notizia proprio ora, quando si gioca una partita che sembrava persa per il rilancio dei reattori a fissione di grande potenza e mentre si rincorrono le voci che vorrebbero il ricorso al nucleare tra le opzioni sostenute per contenere il cambio climatico, ma senza ridurre i consumi elettrici e mantenendo le colossali infrastrutture energetiche attuali? La geopolitica è tuttora fatta di petrolio, gas e nucleare e chi tra i padroni del pianeta se la sente di ascoltare le preoccupazioni popolari per la salute e le catastrofi all’orizzonte?
Tra l’altro, nessun dubbio che la Lockheed abbia bisogno di restaurare il proprio prestigio dopo gli insuccessi del suo F35, velivolo multipolare destinato a teleguidare (e non solo trasportare) gli ordigni nucleari della Nato. E nessun dubbio che la sinergia tra nucleare civile e militare voglia mantenere in campo e potenziare la filiera degli impianti che assicurano il plutonio per le testate atomiche.
Allora, cosa c’è di meglio che annunciare che tra due lustri ci sarà un nucleare “in scatola”, senza scorie, alimentato gratis e per tempo illimitato? Così fantastico da farci accettare, perché no, come sopportabile una transizione preparatoria al nuovo Eden, che installa e tiene in piedi impianti enormi con tremendi rischi, con scorie ineliminabili, costi spaventosi, incidenti non troppo frequenti ma di portata incommensurabile. Ricordate i reattori di IV generazione cui saremmo approdati il mese dopo dei referendum del 2011? Spariti.
In effetti, i problemi del nucleare permangono e non si superano con i miracoli, tantomeno a mezzo stampa. Il professor Ian Hutchinson, del MIT ha replicato: «Per quel che posso vedere, alla Lockheed non hanno fatto attenzione alla fisica di base della fusione nucleare», e il professor Harald Griesshammer della George Washington University spiega che le ridotte dimensioni lo convincono poco. Gli attuali reattori in cui si sperimenta la fusione sono delle dimensioni di alcuni campi di calcio – tribune comprese – sia per lo spazio occupato dai grandi magneti, che per la necessità di schermare completamente i neutroni prodotti dalla reazione, che sono in quantità tale da indebolire consistentemente le strutture di contenimento.
Oggi il cambiamento dei modelli delle precipitazioni e gli eventi meteorologici più estremi acuiranno i rischi di apparecchiature nucleari sul territorio: non solo terremoti e tsunami, ma inondazioni, smottamenti e siccità ridurranno la praticabilità e la sicurezza dei siti. Ci sarà ancora più resistenza alla localizzazione e ai trasporti di materiale radioattivo, come dimostra la mobilitazione piemontese attorno ai depositi di Saluggia, potenzialmente soggetti a inondazione, nonché la crescita di allarme per l’affidamento alla SOGIN, soggetto proprietario degli impianti, dello smantellamento degli stessi, dell’individuazione del sito nazionale unico, dell’interlocuzione con la popolazione e gli amministratori locali per la sua scelta e gestione sicura. Negli Usa Obama e Harry Reid, il senatore del Nevada e leader della maggioranza fino a gennaio, avevano bloccato i finanziamenti per il deposito di scorie nucleari proposto in Nevada a Yucca Mountain e sembra che si orientino per lo stoccaggio a tempo indeterminato dei rifiuti radioattivi in contenitori “sepolcri” a lato delle centrali e per la creazione di analoghi depositi regionali continuamente monitorati.
L’assurdità della tecnologia nucleare può solo essere esorcizzata con la promessa di una sua riconversione innocua e pulita: il miraggio Lockheed serve solo a giustificare sussidi e investimenti pubblici al nucleare che c’è! Dopo l’avanzata dei repubblicani alle elezioni della scorsa settimana, l’industria nucleare americana ha immediatamente sostenuto che i 10,6 miliardi di dollari di garanzia dei prestiti per i nuovi progetti nucleari messi a disposizione dal Dipartimento per l’Energia non bastano più. Ed ha subito ottenuto un aumento a 12,6 miliardi di finanziamento pubblico: 2 miliardi per i cosiddetti progetti nucleari front-end: come la conversione dell’uranio o l’arricchimento e produzione del combustibile nucleare e 10,6 miliardi di dollari per centrali nucleari. La sfida tra sole e atomo continua, ma non si vuole far svolgere certamente ad armi pari.