Anche se la Figc si era detta disponibile alla rinuncia vista l’allerta meteo, l’amichevole Italia- Albania si è giocata. Lo striminzito 1-0 e i malumori di Antonio Conte sono il contorno sportivo dell’incontro di Marassi che per fortuna è diventato occasione di raccolta fondi per le strutture sportive della città di Genova colpite dall’alluvione. Alla buona causa sono andati una parte dei diritti tv, il corrispettivo di 900 biglietti omaggio emessi, le somme ottenute dalla raccolta fondi tramite il numero 800 585858 e 350mila euro stanziati tra Lega A e Dilettanti: tutti soldi che confluiscono in un apposito conto corrente di solidarietà aperto dalla Figc. Anche giocatori, tecnici, staff e dirigenti hanno versato una quota simbolica. Giusta l’idea di utilizzare lo sport per eccellenza in Italia, il calcio, per lenire la difficoltà di una città alluvionata cronica.
Il caso ha voluto che la nazionale abbia giocato anche domenica scorsa in una città che ha vissuto lo stesso problema proprio mentre gli azzurri rimediavano un pareggio con i croati. Stavolta il match era valido per le qualificazioni europee. In una Milano sott’acqua galleggiava solo la paperona di Gigi Buffon, quella che al 15’ ha consentito a Perisic di agguantare il pareggio che ci saremmo trascinati fino al termine. Termine dell’incontro posticipato tra l’altro, perché evidentemente anche i controlli all’ingresso di San Siro avevano qualche falla. I fumogeni e fuochi d’artificio provenienti dal settore ospite qualcuno li avrà portati dentro e i tafferugli successivi con 17 “tifosi” croati arrestati sono degli indizi di un disagio.
Il presidentissimo Carlo Tavecchio frattanto iniziava a inondare i giornali di papere linguistico-geografiche: “La Croazia mi ha sorpreso, non pensavo che per avere solo 4 milioni di abitanti fossero così bravi” ha detto, riferendosi chiaramente a quanto visto in campo perché negli scontri con le forze dell’ordine non sono stati ugualmente bravi. Ampliando lo scenario calcistico e commentando il momento della nazionale azzurra ha riportato indietro il nastro alla fine del Mondiale: “Io parto dal Venezuela, i giocatori più o meno sono quelli e credo che Conte abbia fatto un ottimo lavoro”. Lo sconforto degli interpreti del linguaggio Tavecchiano s’interrogano ancora se il “Venezuela” citato come punto di partenza fosse il Brasile dove si è giocato il Mondiale o l’Uruguay, ultimo avversario dell’Italia. Sempre Sudamerica è, suvvia. E infine quello che è sembrato un involontario rigurgito di “presunto razzismo”: “Balotelli? Si è infortunato ed è tornato al suo paese”. Il suo Paese è l’Italia mentre è tornato dove gioca (poco), cioè in Inghilterra.
Insomma un Carlo Tavecchio da Ponte Lambro esondante in un quadro desolante di “papere” che galleggiano in un Paese completamente alluvionato o che lambiscono temi quali la sicurezza e il razzismo che sono, oggi più che mai, fronti caldi nelle nostre città, figurarsi negli stadi. Il calcio avrebbe il compito, in quanto gioco, di sollevare gli animi, consolare con la sua leggerezza anche chi vive le tragedie di questi giorni. A Marassi ad accompagnare i calciatori scesi campo contro l’Albania (che saranno bravissimi visto che sono ancora meno dei croati, solo 3 milioni) c’erano bambini e bambine delle scuole calcio di Genova e della Liguria appartenenti ad alcune società delle zone colpite dall’alluvione. A loro dovremmo spiegare perché la loro palestra o campo sportivo rimarrà chiuso oppure perché il loro papà che ha una casa o un negozio allagato da sistemare non potrà portarli allo stadio. Dovremmo chiederci anche se ha senso rischiare di portarli allo stadio dove i controlli non esistono e si rischiano mazzate.
Tutto questo se lo chiedano i signori del calcio e della politica che “a galla” ci restano sempre. Mentre risuonerà l’inno di un paese allo sbando pensate che a ogni partita della nazionale si potrebbe dare un senso solidale (Italia-Malta del 3 settembre 2015) visto che di posti come Genova o Milano, l’Italia è piena (Carrara o l’Emilia giusto per citare degli esempi). Bisogna rimboccarsi le maniche perché è fantasia pura sperare che un noto proverbio napoletano si materializzi (con significato opposto) spazzando via per sempre piogge e portatori insani di gaffe: “L’acqua è poca e a papera nun galleggia”.