Quando da Leggiuno arrivò a Cagliari aveva 18 anni e pesava 68 chili, uno smilzo tutto nervi e niente muscoli. Il volo Malpensa-Elmas del turboelica si distinse per due atterraggi acrobatici a Genova e Alghero, durò nove ore e per via del vento, che su Cagliari può soffiare al contempo in due o tre direzioni diverse, l’epilogo ebbe un esito felice solo per caso. Quando spalancò la finestra dell’Hotel Jolly, non avendo una precisa cognizione di nulla, le luci che si perdevano sul mare lo spaventarono: “Cosa c’è laggiù?, deve essere l’Africa”, allora studiò un piano di fuga, che nelle intenzioni doveva essere immediato. Il futuro che sognava era l’Inter ma Silvestri e Arrica furono più veloci dei dirigenti milanesi.
Oggi Gigi Riva ha settant’anni e Cagliari è diventata la sua vita. “Rombo di tuono” è stato il più grande attaccante italiano del Dopoguerra.
Riva, com’è Cagliari oggi?
Come il resto dell’isola, povera, anzi impoverita, negli ultimi anni s’è sfasciato tutto.
I politici sardi hanno collaborato attivamente allo sfascio?
Avessero un residuo di dignità restituirebbero i vitalizi alla Regione, incredibile, si sono assegnati uno stipendio tra i più alti d’Italia. Ma vanno capiti, da quando non c’è più il Credito Industriale Sardo i soldi non sanno più dove prenderli. I sardi, però, sono disuniti, individualisti e anarcoidi, siamo quattro gatti e ci facciamo la guerra tutti i giorni.
Gli indipendentisti di Gavino Sale volevano candidarla.
Molti anni fa ci provò anche Craxi, io sono sempre a disposizione ma le operazioni di facciata non mi piacciono.
La “Scuola calcio Gigi Riva” è all’interno del vecchio Amsicora, due passi da sant’Elia, forse il quartiere più problematico della città.
Aprimmo nel ’76, fu la prima scuola calcio italiana. Case basse, vento, vicoli stretti e odore di pesce, Sant’Elia era un borgo di pescatori, all’inizio degli anni Settanta lo trasformarono.
Lei tiene molto alla sua scuola calcio.
La considero un servizio, da noi chi non può pagare non paga perché tutti devono poter giocare a pallone.
Che regole deve seguire un ragazzo che vuole fare il calciatore?
Chiudere a chiave il padre, il chiodo fisso dei padri è allargare il giro d’affari, il primo ingaggio da professionista.
E sul campo?
La disciplina è un traguardo, il segreto è correre sapendo dove andare. Per evitare la bolgia, perché da occupare c’è solo una parte di campo. Qualcuno deve dirgli che si può arrivare secondi, e che se un giorno non giocherà in serie A comunque ci avrà provato.
Come si perfeziona la tecnica?
Con l’esercizio quotidiano, palleggio, controllo e tiro sono i punti di partenza. Io con il piede destro salivo a fatica lo scalino del tram, Silvestri e Tognon mi misero davanti a un muro per mesi, al primo anno di A segnai un gol alla Juve, col piede destro.
E le cose che non deve fare?
Da quando hanno vietato le sigarette non vado più al cinema, non sono un riferimento, il calciatore deve condurre una vita da atleta.
Cosa pensa di Zeman al Cagliari?
Che ai giocatori farà un mazzo così. Scherzo, Zeman è un educatore, Giulini mi ha chiesto di dare una mano in società, devo pensarci.
Il suo primo impatto con Cagliari fu traumatico.
Mamma morì poco prima che mi chiamassero. Come tutti gli orfani mi misero in collegio, servivo messa, c’è mancato pochissimo che diventassi santo. La Sardegna era lontana, mi faceva paura, ci mandavano gli ergastolani e i carabinieri in punizione. Non volevo restare. Quando giocavamo in trasferta ci guardavano come alieni, come una porcellana esotica. E gli insulti fioccavano. Banditi, pastori, sequestratori, gli ultrà son sempre stati esenti da pensieri originali. Solo laziali e romanisti ci manifestavano qualche simpatia, ma con cautela. Dopotutto eravamo il solo ostacolo allo strapotere di Juve, Inter e Milan.
Scopigno diceva che eravate una squadra di matti.
Scopigno andava preso sempre sul serio. Però risultammo un manicomio vincente. Ha mai conosciuto il fratello gemello di Niccolai?
Mai, faceva l’uomo-cannone.
In un circo tedesco, la sera lo sparavano nei sobborghi di Stoccarda.
Comunardo ne andava fiero.
Conosciuto il fratello Scopigno cominciò a capire anche Niccolai. Un grande stopper.
Si è mai spiegato quelle sue autoreti fantastiche?
Era troppo generoso, a Bologna dribblò anche Albertosi, il pallone rimbalzò male è finì nella nostra porta. Ricky voleva mandarlo in cura da uno psicanalista.
Lo sente ancora Comunardo?
Sempre, facemmo la naja insieme alla Cecchignola. Quand’era di guardia, armato fino ai denti con elmetto e baionetta si dava un tono da duro ma aveva una paura fottuta dei gatti “Gigi scendi, dai scendi, ci sono i gatti”, i gatti romani erano belve. Nella hall di un albergo sull’Amiata si presentò il fratello di Brugnera ma lui si era dimenticato di averne uno, quando Arrica gli suggerì che forse quel tale valeva la pena di conoscerlo, lo riconobbe e pianse a dirotto. Il fratello viveva all’estero e forse non si erano mai conosciuti.
È vero che solo a lei era concesso di arrivare al campo in macchina?
No, per i compagni avevo molto rispetto, facevo quello che facevano loro.
Chi l’ha picchiata di più in carriera?
Troppo facile, Hof, poi quel portiere portoghese, ma c’era gente tosta anche da noi.
Morini?
No, lui si incollava alle mutande. Un giorno gli faccio “Ora ti arriva un cazzotto in faccia” e la finì lì, Morini era biondo, bellino e alla faccia ci teneva. Un duro vero, ma corretto, era Burnich, un blocco di marmo.
Se l’aspettava l’uscita ai gironi della Nazionale?
No, dopo la vittoria con l’Inghilterra ho pensato che il più fosse fatto.
Invece…
In Brasile siamo arrivati molli. Prima di un Mondiale i giocatori dovrebbero disintossicarsi una ventina di giorni. E poi andare in ritiro, come fanno le squadre di club.
Non avremo sbagliato a stabilire che Balotelli è il primo della classe?
Sì, ma Mario non ha più colpe degli altri.
È un grande attaccante?
È un buon giocatore, ha fisico. È un bravo ragazzo ma deve trovare la serenità nella vita di tutti i giorni.
Dove ha sbagliato Prandelli?
Non ha sbagliato, ha perso i pezzi per strada, ha lasciato giovani interessanti.
Chi lo vince il Mondiale?
Non lo so, comunque vada la squadra più sorprendente resta la Costarica, Brasile e Argentina sono Neymar e Messi, le altre arrivate ai quarti sono squadre forti e organizzate.
Il calcio è fatto di bugie o di verità?
Bugie, bugie.
Ai suoi tempi i presidenti si scambiavano i debiti, ora si scambiano i soldi?
Non ho prove ma sono sicuro che molti presidenti oltre a trattare gli interessi propri trattino quelli di altri.
3 COSE DA FARE
Attenti ai genitori: chiudete a chiave i padri che pensano solo agli ingaggi
L’importante è provarci: non conta soltanto arrivare in serie A
Disciplina e allenamento: bisogna allenarsi tanto. Il punto di partenza sono palleggio, controllo e tiro
3 COSE DA NON FARE
Non fumare: non prendete esempio da me che da quando hanno vietato di fumare non sono più andato al cinema
Niente stravizi: il calciatore, soprattutto oggi, deve fare vita da atleta
Non mancare di rispetto ai compagni: in squadra siete tutti uguali
di Elio Pirari
Il Fatto Quotidiano, Lunedì 7 luglio 2014