Alcuni rappresentanti dei partiti democratici stamattina hanno provato anche a mettersi in mezzo, fisicamente in mezzo, tra le vetrate del Parlamento e le poche decine di giovani mascherati che scagliavano blocchi di cemento, barricate e tutto quello che avevano a disposizione contro i vetri dell’edificio dove risiede il cuore dell’attività legislativa della ex colonia britannica, dal 1997 regione ad amministrazione speciale cinese. “Ho provato a convincerli che era un suicidio per il movimento, ma erano come sordi. Nessuno mi ascoltava, non era mai successo. Dopo pochi minuti in quattro mi hanno afferrato e trascinato via”, ha raccontato Fernando Cheung Chiu-hung, membro del partito Democratico. “Abbiamo il cuore spezzato, non possiamo credere che questi ragazzi abbiano perso la calma. Sono stati certamente ingannati, qualcuno ha detto loro cose non vere”.
Le “cose non vere” dovrebbero riguardare una legge che avrebbe dovuto essere discussa oggi in Parlamento circa la regolamentazione dei contenuti in Internet. In poche parole: qualcuno suggeriva che oggi si votasse una sorta di bavaglio al web, che qui a Hong Kong è ancora certamente più libero rispetto al Mainland cinese dove è attentamente censurato. A quanto pare nessuna agenda ufficiale prevedeva questa discussione e, comunque, visti gli scontri della mattinata i lavori odierni sono stati sospesi. E’ vero però che l’argomento dovrà essere discusso, confermano i legislatori dell’ala democratica, ma solo il mese prossimo.
Quando stamattina le vetrate sono state sfondate, la polizia è intervenuta con la forza, usando lo spray urticante e i manganelli. Quattro persone sono state fermate. Le immagini hanno fatto il giro del mondo. L’impressione è che questa sia la risposta mediatica contraria a quella messa in atto dagli studenti della corrente Scholarism che lo scorso venerdì, guidati da una piccola delegazione di stampa internazionale si è letteralmente “giocata la carta di imbarco” per la Cina. Presentati al gate del volo Hong Kong-Beijing con biglietti aerei validi, tre studenti sono stati rimbalzati perchè non in ordine con i visti. Reazione prevista e calcolata (Pechino è famosa per non far passare il confine agli attivisti per i diritti civili, non è una vera e propria notizia) che è stata debitamente documentata dai flash dei corrispondenti invitati e ha permesso che Occupy tornasse velocemente alla ribalta nelle agende dei media internazionali.
Cinque giorni dopo, Occupy rimbalza di nuovo sulle cronache con le immagini, terribili, di un piccolo gruppo che lancia blocchi di cemento sui vetri infranti del Parlamento. Se la paura è che l’informazione venga manipolata da Pechino, la guerra a colpi di news è comunque già iniziata.