I dati, pubblicati nel Report Ispra su Il consumo di Suolo in Italia nel 2014, parlano dell’8,3%, pari a 4.192 ettari di suolo, a livello comunale impermeabilizzato al 2010, data più recente per la quale si possiedono dati. Numeri in evidente progressiva crescita, rispetto ad esempio al 2004/05 quando ad essere impermeabilizzato era il 7,5% per un’estensione di 3798 ettari. Ma, allargando lo sguardo all’ambito provinciale, secondo i dati Istat, la cementificazione tra il 2001 e il 2010 ha raggiunto il 28%, cifra seconda solo a quella registrata per Matera.
Con gli spazi ancora da riempire che sono lì, a portata di mano. Proprio come accade ad ovest di via Giuseppe Parini, nel tratto a sud di via Vincenzo Furore. Dove dai balconi delle palazzine a tre piani costruite di recente, ci si può affacciare direttamente sulla Masseria Pantano.
Su quel che resta delle strutture ottocentesche delle quali si sono occupati in molti. Dal Fai, che si è fatto promotore di diverse iniziative per recuperare l’immobile e rendere fruibile l’area intorno, al Gruppo Archeologico Daunio, capofila di una serie di associazioni interessate alla tutela dell’area. Un impegno necessario perché l’immobile, di proprietà privata, accatastato come “fabbricato rurale”, è abbandonato da decenni.
La messa in sicurezza da parte del Comune, nel 2011, non ha prodotto alcun risultato. All’esterno erba sempre alta, tra cui spuntano immondizie di ogni tipo ed un’infinità di cumuli di materiali edilizi di risulta. All’interno, tra un crollo e l’altro delle coperture, ugualmente immondizie. Si sarebbe potuto procedere all'”esproprio, acquisendolo come bene culturale attraverso la valorizzazione di tutto il territorio, fondamentale come collegamento della città alla campagna. Un progetto di riqualificazione e un lavoro insieme alla Regione per far rivivere una fascia utile sotto il profilo agricolo-rurale”, come sostiene Vincenzo Rizzi, consigliere comunale indipendente ed ex presidente del Centro Studi Naturalistici.
Indagato attraverso saggi di scavo tra l’agosto e il settembre 2011 su prescrizione della Soprintendenza archeologica della Puglia, dopo che una parte di esso era già andato distrutto. Soprattutto solo dopo che il cantiere edilizio, peraltro ancora in corso, era stato avviato, contando sull’autorizzazione a costruire rilasciata dal Comune. Senza aver interpellato la Soprintendenza. Eppure, proprio lì era nota e documentata, sia da analisi aerofotografiche della fine degli anni Ottanta che da ricognizioni di superficie condotte dall’Università di Foggia nel 2005-2006, l’esistenza di siti antichi.
Senza contare che l’area dell’indagine rientra nella Carta dei Beni Culturali della Puglia e nel Sistema Informativo Territoriale della Regione Puglia, accessibili da tutti gli enti locali e gli enti pubblici, imprescindibili strumenti di screening preventivo per qualsiasi pianificazione. Ciò nonostante, soltanto la denuncia ancora di Vincenzo Rizzi, corredata da inequivocabili foto aeree dell’area, nel luglio 2011, sollecitò l’interessamento della Soprintendenza, un sopralluogo, e quindi le indagini.
“Una parte comunque significativa del sito risulta però ancora conservata e saranno definite, anche d’intesa con il Comune di Foggia e la Silvia Spa nella cui concessione l’area ricade, le modalità più idonee di conservazione e valorizzazione dell’area”, scrivevano gli archeologi che avevano scavato il villaggio nella relazione presentata nel 2011 in occasione del Convegno sulla Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia.
Il progetto di conservazione seppellito, sotto nuove cubature. Le promesse disattese. Rimane ancora una vasta area libera da costruzioni, tra il Parco della Cultura e dello Sport e la Masseria Pantano. Anche lì l’archeologia è presente. Con testimonianze di età romana, anche se le fotografie aeree segnalano soprattutto una grande costruzione, la celebre residenza di svago di Federico II, circondata da un parco con giardini, zone boschive e palustri. Farne un parco “vero”, nel quale ambiente e storia materiale si armonizzino, sarebbe l’opzione più naturale. L’unica che il buon senso indichi. Forse proprio per questo, è probabile, che non se ne farà nulla.
Scrive Salvatore Settis, in Paesaggio, Costitizione e cemento, “Vedremo boschi, prati e campagne arretrare davanti all’invasione di mesti condomini, vedremo coste luminosissime e verdissime colline divorate da case incongrue e palazzi senz’anima. Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili colate di cemento”. Sembra la descrizione delle espansioni di Foggia.