Commissione Grandi Rischi, quando la scienza trema /3
Le istituzioni sono incorporate nell’esperienza individuale per mezzo dei ruoli che, linguisticamente oggettivati, costituiscono un ingrediente essenziale del mondo accessibile di ogni società. Svolgendo dei ruoli, l’individuo partecipa ad un mondo sociale; interiorizzandoli, egli fa sì che lo stesso mondo diventi soggettivamente reale per lui (…) i ruoli rappresentano l’ordine istituzionale” – Berger & Luckmann, ‘La realtà come costruzione sociale’, 1966 (p. 108)
Ho dedicato il primo post al senso comune e alle opinioni personali; il secondo all’analisi degli aspetti penali.
Questo approda al versante sociologico, cercando di fornire al prof. Enzo Boschi, se non una risposta esaustiva alla domanda sollevata a conclusione della sua replica, quantomeno alcuni indizi utili ad accostarsi alla socio-logi(c)a.
Premessa
La sociologia, in quanto scienza sociale, non ha tra i suoi mandati né la formulazione di giudizi di valore, tantomeno l’autorità di condannare o assolvere imputati. Semmai, essa può legittimamente reclamare un posto nel panorama scientifico proprio in virtù della lotta che, a mo’ di grimaldello sociale, ha fin da principio ingaggiato con il senso comune e il conformismo.
Svolgimento
Poiché lo spazio di un blog è sempre tiranno, limitiamoci a pochi punti essenziali: 1. La celeberrima intervista a De Bernardinis; 2. la costruzione mediatica della pseudoscienza.
- è noto che l’intervista a De Bernardinis – come sovente accade nella pratica giornalistica – è stata registrata prima della riunione della CGR del 31 marzo 2009 e mandata in onda in un secondo momento. Tuttavia, la prospettiva sociologica non coincide in questo caso con quella di un narratore omnisciente ma ha l’obiettivo di indagare i possibili effetti di un fatto comunicativo. Il punto d’osservazione deve necessariamente focalizzarsi sul piano del destinatario. Dal punto di vista di un destinatario comune, non possiamo scartare l’ipotesi che l’intervista possa essere stata recepita come un momento di divulgazione dei principali risultati emersi a seguito della riunione della CGR, anche in virtù del modo con cui è stata mediaticamente confezionata.
- In secondo luogo, il contenuto delle dichiarazioni rilasciate da De Bernardinis sembra caratterizzarsi, man mano che l’intervista procede, per una sempre più evidente descrizione del fenomeno sismico di quei mesi come così profondamente radicato nella storia della comunità locale da risultare normale.
- Se è vero che un ruolo è l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in funzione della posizione sociale che occupa in un sistema sociale [Gallino 1983], quello di De Bernardinis appare piuttosto ambiguo: da un lato, infatti, l’intervistato tiene a sottolineare di non appartenere più alla comunità scientifica, perché «io faccio l’operativo, ormai ho smesso il cappello di accademico» (minuto 0’57’’), dall’altro invece non interviene in alcun modo a correggere il giornalista allorché gli si rivolge chiamandolo ancora professore (minuto 2’07’’). Si tratta di dettagli che solo all’apparenza possono essere derubricati come secondari; grazie ai lavori della Scuola di Palo Alto, sappiamo infatti da tempo che «ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione» [Watzlawick et al. 1967; trad. it. 1971: 47]. In buona sostanza, per essere interpretato in maniera metodologicamente rigorosa, il contenuto delle dichiarazioni di De Bernardinis, già rassicurante per se sul piano denotativo, non può prescindere da una rilettura del testo audiovisivo che integri, quale elemento connotativo, l’ambivalenza con cui è mediaticamente rappresentato il ruolo dell’intervistato.
- Veniamo ai media. La vicenda aquilana si colloca all’interno di una tradizione ormai abbastanza consolidata che consiste nel rappresentare i temi tecnoscientifici, particolarmente quelli controversi, seguendo strategie di narrazione mediatica della scienza che ricordano quelle della politica: soluzioni miracolose, errori clamorosi, smentite, tensioni, polemiche e conflitti sembrano essere i frame prediletti per parlare dell’attività scientifica.
- È parte di tale strategia la sovraesposizione mediatica di attori presentati come esperti, ricercatori o scienziati, privi tuttavia dei requisiti minimi per essere definiti tali: curricula inidonei, assenza di qualifiche in ambito accademico, non appartenenza a programmi di ricerca scientifica di rilievo (o anche solo riconoscibili), lista delle pubblicazioni vuota o con prodotti non sottoposti a una peer-review qualificata. Non potendo riprodurre alcuna divisione interna alla comunità dei sismologi (non esiste, infatti, una teoria sulla prevedibilità dei terremoti, tantomeno un esponente del mondo scientifico disposto a sostenerla), i media italiani sono comunque stati in grado di dare impulso a uno scontro dialettico, creando mediaticamente una controparte: Giuliani.
- In secondo luogo, Giuliani offre una soluzione certa e accessibile anche ai non esperti, quella che qui brevemente richiameremo come metodo del «radon precursore», e poco importa se le sue dichiarazioni sono vaghe, contraddittorie e adattate solo ex post ai tragici fatti della notte tra il 5 e il 6 aprile. La verosimiglianza è il tratto più subdolo della pseudoscienza, e gli pseudoscienziati non di rado risultano più accattivanti e comprensibili degli scienziati istituzionalizzati. Emblematico, a questo proposito, il confronto andato in onda nello speciale di «Porta a Porta» del 7 aprile 2009 tra l’allora direttore della sezione di Sismologia e Tettonofisica dell’INGV Antonio Piersanti e Giampaolo Giuliani.
Conclusioni. Uno dei maggiori punti innovativi dell’analisi sociologica della vicenda è che permette di riflettere sulle mutue dipendenze tra Scienza, Politica, Media e Società in termini di visibilità e invisibilità, ovvero, con le parole di Goffman [1959], «ribalta» e «retroscena». Il processo alla CGR resta un fatto sociologico rilevante perché sancisce come mai prima d’ora che esistono spazi di influenza e interazione tra Scienza e Politica che ricadono al di fuori della ribalta mediatica, cioè dell’opinione pubblica intesa in senso moderno.
Fosse rimasto precluso l’accesso del pubblico al retroscena (cioè in assenza degli atti del processo e delle intercettazioni telefoniche), come di norma accade, il racconto del terremoto del 2009 avrebbe assunto forme significativamente differenti e l’analisi degli eventi sarebbe rimasta monca del suo grimaldello più esplicativo. E noi, oggi, staremmo a raccontarci tutta un’altra storia.