Media & Regime

Dossier illegali: il ritorno di Pio Pompa, spione un po’ scarso

Sembrava tutto finito. La vicenda degli spioni di Stato pareva destinata a un proscioglimento in nome del segreto di Stato. Invece nei giorni scorsi la Cassazione ha riaperto i giochi. Ha annullato la decisione del giudice di Perugia che in udienza preliminare aveva dichiarato di non potersi procedere nei confronti dell’allora direttore del Sismi (il servizio segreto militare) Nicolò Pollari e del suo collaboratore Pio Pompa.

Così il caso tornerà a Perugia davanti a un nuovo giudice: i dossier di Pompa sono attività extra-istituzionale, dunque non possono essere coperti dal segreto di Stato. La vicenda nasce nel 2006, quando i magistrati milanesi che stanno indagando sul sequestro dell’ex imam Abu Omar, rapito a Milano nel 2003 da uomini della Cia, scoprono un ufficio del servizio segreto in via Nazionale a Roma.

Era il regno di Pio Pompa, strano personaggio devoto al fondatore del San Raffaele, don Luigi Verzé. Era lui a tenere (e inquinare) i rapporti con i giornalisti. I pm Armando Spataro e Nicola Piacente si presentano di persona a perquisire l’ufficio. Trovano non soltanto materiale sul sequestro Abu Omar, ma una mole di dossier illegali su magistrati, giornalisti, politici, intellettuali. Il volonteroso Pompa aveva accuratamente schedato, a partire dal 2001, coloro che riteneva fossero i “nemici” dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, prospettando che fossero da “disarticolare”, anche con “azioni traumatiche”.

Il verbo “disarticolare”, lo stesso usato nei comunicati delle Br, viene rivolto non ai terroristi e ai nemici dello Stato, ma ai presunti avversari politici del capo del governo pro tempore. Tra questi, ben 200 magistrati di Milano, Palermo, Roma, Torino e quelli che avevano ruoli associativi nazionali (Anm) o internazionali (Medel).

Il Csm interviene sostenendo che il Sismi aveva svolto un compito “estraneo alle sue attribuzioni e alle sue competenze”, visto che dovere del servizio di sicurezza militare è “vigilare sull’integrità dello Stato”, non quello di garantire “la stabilità del governo contingente, qualunque ne sia il segno politico”. Poiché non esiste il reato di dossieraggio, Pollari e Pompa sono stati accusati di peculato, per aver usato soldi e risorse pubbliche per fini non istituzionali.

Ora per questo saranno giudicati. Ci permettiamo però di aggiungere che quei soldi sono anche stati spesi male. I nomi degli “schedati” sono spesso sbagliati (“Napoleoni” per Fabio Napoleone, “Bocassini” per Ilda Boccassini, “Alderighi” per Mario Almerighi…). Tra i dossier di Pompa, ce n’era uno intitolato: “Network telematico di delegittimazione del Premier e della sua compagine governativa”. La Spectre 2. 0? No. I “principali siti del network” erano societacivile. it, manipulite. it, centomovimenti. it, cioè quelli dei cosiddetti “Girotondi”, oltre alla “Voce della Campania” di Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola e alle associazioni “Democrazia e Legalità” di Elio Veltri e “Communitas 2000”.

Di societacivile.it nel dossier si leggeva: “Circolo Società civile, www.societacivile.it (Nando dalla Chiesa, Marco Travaglio, Gianni Barbacetto)”. Ebbene: nel 2006 il circolo Società civile non esisteva più da anni; Travaglio non ne ha mai fatto parte; Dalla Chiesa, fondatore del circolo negli anni Ottanta, non è mai stato nel gruppo che animava il sito.

Insomma, un ragazzo sveglio, usando solo Google, avrebbe fatto meglio. Pio Pompa non solo schedava e dossierava giornalisti, politici, cittadini e magistrati che facevano soltanto il proprio dovere, fedeli alla Costituzione e ai codici. Ma era anche, come spione, proprio scarso.

Twitter: @gbarbacetto

il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2014