Nuovo album per il 39enne laziale: "Cerco l'essenza. Mi chiedo, ma i cosiddetti giovani indipendenti italiani oggi di cosa parlano nei loro testi? Mi sembra di sentire delle poesie di Zanzotto. Si nascondo dietro le parole. Mi spaventano perché non sanno esprimere un concetto semplice”, ha detto a Ilfattoquotidiano.it
Per far parlare la propria anima meglio usare la lingua inglese. “Everyday is gonna be the day” è il titolo del secondo album di Luca Sapio, l’unico soul man italiano capace di costruirsi una carriera privata delle commerciali liriche pop italiane, senza perdere un grammo di credibilità al cospetto di mostri sacri americani del genere. Sapio cita Sam Cooke e Curtis Mayfield, ma anche Mario Musella, Nino Ferrer e Demetrio Stratos. Una linea immaginaria di musica dell’anima che poi va a combaciare con i titoli del nuovo lavoro registrato negli studi newyorchesi di Thomas TNT Brenneck, storico produttore di Mary J. Blidge: “Someone”, “Dark Shadows”, “Let it shine”, “I was a good boy”. “Il soul è un’attitudine e io non faccio altro che recuperarla”, spiega Sapio al fattoquotidiano.it, “nel soul si rinuncia a tante note, “less is more”, gli orpelli sono un handicap, cerco di arrivare all’essenza. Pensate che nel registrare una produzione “moderna” si utilizzano 140-150 piste. Noi ne abbiamo utilizzate 8, registrando dal vivo e in analogico. Nessun effetto computerizzato o riverberi. Semplificare e recuperare il suono anni sessanta/settanta. Sgt. Pepper dei Beatles in fondo è su 8 piste”.
Il 39enne soul man laziale per arrivare alla consacrazione internazionale – in questi giorni ha aperto i concerti europei di Sharon Jones and The Dap-kings – è stato via via voce dei rinati Area nel 1999, dei Quintorigo dal 2009 al 2011, poi il viaggio negli Usa, l’incontro con Charles Bradley e con Brenneck, il primo album “Who Knows” registrato negli Dunham Studios di Brooklyn: “Ad un certo punto della mia vita ho capito di aver raggiunto una sorta di credibilità. Ero maturo per cantare da solo. Sentivo di avere la capacità di far emergere il mio vissuto. Memphis Slim diceva che non si può cantare il blues se non si è vissuto il tormento e il dolore dell’anima”.
Il tormento di Sapio è stato una gravissima insufficienza del midollo spinale chiamata mielite traversa, a 14 anni: “Ci è voluta una gran forza per sopravvivere. La mia adolescenza è stata quella di un ragazzo diverso. Ero fuori e dentro dall’ospedale. Ho sviluppato una sensibilità diversa”. Eccolo allora nell’on the road Usa, alla ricerca di un’America immaginata poi faticosamente trovata: quella della persone semplici, il benzinaio o il commesso, che hanno fatto della musica una ragione “insopprimibile della vita”: “Negli Stati Uniti la scrittura dei testi è più semplice, immediata. Hanno pochi vocaboli, soprattutto nel South. Noi italiani, invece, abbiamo una lingua piena di orpelli che nel tempo ha come delineato uno status dietro cui nascondersi, atteggiamento che i cantautori hanno paradossalmente accentuato. Comunque mi chiedo ma i cosiddetti giovani indipendenti italiani oggi di cosa parlano nei loro testi? Mi sembra di sentire delle poesie di Zanzotto. Si nascondo dietro le parole.
Mi spaventano perché non sanno esprimere un concetto semplice”. Il singolo “How did you loose it”, tratto dal primo album “Who knows”, è finito nella playlist del David Letterman Show: “Soffro molto questo spauracchio sopra la testa degli italiani che pensano di non avere futuro. Forse anche per questo il titolo del nuovo album (“Ogni giorno può essere il giorno giusto” ndr) vuole suggerire a chi ascolta che se hai un disegno, un obiettivo, non puoi non arrivare a raggiungerlo. Certo noi siamo un po’ il paese delle porte girevoli, delle scorciatoie. Dobbiamo imparare invece a farla tutta la strada, le scorciatoie non esistono”. Ecco allora che ritorna il Sapio dell’essenzialità, quello che prova a far parlare la sua anima senza artifici retorici, politici, musicali: “I miei musicisti (i Dark Shadows – Larry Guaraldi, Matteo Pezzolet, Mecco Guidi, Christian Capiozzo – ndr) li voglio sentire, voglio percepire i loro respiri, il loro spirito. Preferisco un coro gospel piuttosto che un suono preso da una libreria e campionato al computer. L’anima non esce da un sintetizzatore”.