La rottura dell'unità sindacale letta da Giuseppe Berta, docente di Storia contemporanea alla Bocconi. Annamaria Furlan punta a cercare soluzioni "spendibili" presso i lavoratori, al contrario la sigla di Susanna Camusso e Maurizio Landini sta diventando un movimento collettivo che catalizza il disagio sociale di precari e cassintegrati
Il 12 dicembre Cgil e Uil saranno in piazza insieme per lo sciopero generale contro Jobs Act e legge di Stabilità. La Cisl, anche stavolta, non ci sta: secondo il neosegretario Annamaria Furlan “non ci sono motivazioni valide per fermare il Paese”. Così il sindacato bianco protesterà solo, l’1 dicembre, contro il blocco del contratto degli statali che prosegue anche nel 2015. Un segnale di apertura al governo sulla riforma dell’articolo 18? Secondo Giuseppe Berta, docente di Storia contemporanea all’università Bocconi di Milano e esperto di relazioni sindacali, cercare di interpretare le mosse cisline attraverso le lenti degli schemi politici è un errore. “La strategia della confederazione, in questa fase di debolezza a causa delle ombre sulla gestione e sull’addio di Raffaele Bonanni (uscito dal sindacato con uno stipendio di 336mila euro l’anno, grazie al quale percepisce una pensione di 5.391 euro netti, ndr) è quella di tutelare i propri iscritti. Al contrario la Cgil punta a mobilitare la protesta sociale di cassintegrati e precari in condizioni di disagio. Insomma: la Cisl, in continuità con la sua tradizione, si rivolge agli “organizzati”, mentre il sindacato della Camusso e di Maurizio Landini vuole assumere la dimensione di un movimento collettivo non limitato alle categorie del mondo del lavoro dipendente. In queste logiche, la vecchia unità sindacale diventa un’idea obsoleta. Per la Cisl appiattirsi su una linea che non è la propria sarebbe perdente”.
Per Berta questa divaricazione dei piani di azione non significa comunque, come ha accusato Susanna Camusso, che la Cisl “si limiti a subire” i provvedimenti dell’esecutivo. “Basta pensare a quante probabilità ci sono che uno sciopero generale possa indurre questo governo a rivedere le proprie posizioni”. Poche, in effetti, visto che il premier Matteo Renzi non perde occasione per avvertire che “le leggi non si scrivono con i sindacati ma in Parlamento” e “non si fanno trattative”. Ormai, insomma, i cosiddetti “corpi intermedi” sono sotto scacco, perché la politica, in modo bipartisan, li considera un ostacolo e ha deciso di bypassarli. L’esperienza della concertazione è un lontano ricordo. “Di conseguenza”, continua il docente, “la valutazione della Cisl è che dagli scioperi generali non possono derivare risultati spendibili presso gli iscritti”. D’altronde non è un caso se in Europa ormai si fanno solo in Grecia, cioè in un Paese ai margini, in ginocchio”. Come dire: dove non c’è più nulla da perdere ma solo esasperazione.
Meglio, in quest’ottica, cercare il dialogo, per esempio sul rinnovo dei contratti pubblici (“ma con questo governo non so quante possibilità di successo ci siano”), e scommettere sulla contrattazione a livello di singola azienda. Per esempio, al di là del giudizio di merito, “la scelta della Cisl di firmare a fine 2011 l’accordo con Fiat sul nuovo contratto e “stare dentro”, invece che chiamarsi fuori come Fiom, ha pagato”. Altra cosa è la piazza, dove invece la Cgil è vincente ma “dove va in scena, appunto, il disagio sociale in senso lato, non quello degli occupati”. Anche in questo caso, comunque, la frontiera politica resta solo sullo sfondo. “Non penso che Landini voglia entrare in Parlamento, almeno non ora. Ma vuole senza dubbio accentuare il carattere politico della mobilitazione sociale, cosa da sempre estranea alla storia della Cisl”. Che, solo per fare qualche esempio, trent’anni fa – alla guida c’era Pierre Carniti – ha firmato con il governo Craxi l’accordo di San Valentino sull’abolizione della scala mobile (l’indicizzazione automatica dei salari all’inflazione), nel 1997 – segretario generale Sergio D’Antoni – ha detto sì al pacchetto Treu (il primo a introdurre in Italia forme di lavoro flessibile e interinale), nel 2002 – con Bonanni – si è tirata indietro davanti allo sciopero generale proclamato dalla Cgil di Sergio Cofferati e negli anni seguenti ha sempre difeso a spada tratta la legge Biagi.
Ai margini restano Ugl e Uil, che Berta vede deboli e privi di una linea strategica. Le due strade possibili restano quelle del “movimento sociale” con vocazione politica (Cgil) e dello stretto legame con gli iscritti nel solco della tradizione anglosassone (Cisl). Strade destinate a non incontrarsi.