Col disco precedente ambivano ad abbattere il pregiudizio che una band italiana che canta in inglese non potesse avere un pubblico importante e poter entrare nelle classifiche nazionali e non. Oggi, gli A Toys Orchestra sono in grado di riscrivere la storia della discografia indipendente, creando un precedente che può andare a vantaggio di tutti, della scena e di altri artisti che come i Toys sono impegnati nell’affermazione del loro progetto anche oltreconfine. Il nuovo album Butterfly Effect, caratterizzato da un sound pop-rock elettronico, registrato al Vox-Ton studio di Berlino e prodotto da Jeremy Glover (Liars, Devastations, Crystal Castle) li conferma come una delle migliori band in circolazione nel nostro Paese. Da qualche giorno sono in tour per promuovere il nuovo album, e a qualche ora di distanza dalla data zero del tour all’Estragon di Bologna abbiamo intervistato il frontman Enzo Moretto.
Enzo, quali sono state le emozioni vissute durante la data zero del nuovo tour?
In realtà, quando abbiamo pensato a questa data l’avevamo immaginata come una sorta di festa, perché è una data test del tour. Quindi abbiamo pensato di farla a ingresso gratuito e nella città che ci ospita ormai da sei anni, Bologna. Preso dalla concentrazione nella preparazione di questa data, quando son salito sul palco non avevo la più pallida idea di quel che ci aspettasse sotto, e quando ho avuto la possibilità di vedere tutta quella gente mi si è aperto il cuore, sembrava che non fosse la prima data ma che questo disco fosse stato sempre lì. La gente l’ha accolto con enorme entusiasmo. Di solito portare in giro nuove canzoni è qualcosa che presuppone una certa freddezza, perché le persone devono imparare a conoscere le canzoni e ad amarle… e invece è andato tutto in maniera incredibile. Sembra che tutto stia funzionando alla perfezione.
A quanto pare il vostro pubblico cresce sempre più. C’è stato un momento in cui avete avuto la percezione che la vostra popolarità stesse aumentando?
Abbiamo avuto la fortuna di fare una lunga gavetta che ci ha permesso di crescere assieme al nostro pubblico, e questo ha instaurato un legame molto forte con il nostro pubblico. Non è stato un colpo di fulmine, ma un rapporto che è cresciuto nel tempo, in un periodo molto dilatato. Non è stato un fulmine a ciel sereno, per cui la percezione è costante.
Emerge una certa “soddisfazione” dalle tue parole. Come vedi il panorama musicale italiano?
Ne parlavo proprio un paio di giorni fa con i miei amici Appino e Ufo degli Zen Circus. In Italia siamo abituati a lamentarci sempre un po’ di tutto, però la realtà è che la situazione per i live in questo paese è di un livello abbastanza alto, nonostante le carenze legate al supporto di questo ramo, soprattutto da parte delle istituzioni. Quando si va all’estero, al contrario, non è garantito nemmeno l’alloggio o la cena, mentre in Italia c’è grande attenzione dal punto di vista dell’accoglienza. Il problema credo sia legato più al fatto che la musica non venga percepita come un vero e proprio fatto culturale, viene vissuto quasi alla stregua di un hobby.
Il nuovo disco l’avete pubblicato anche in vinile: c’è qualcosa sotto che fa parte della vostra filosofia o è stato fatto solo per esigenze di mercato?
Il vinile credo che sia l’oggetto per eccellenza. Oggi si sta perdendo l’amore verso questo oggetto, anche se pare – stando ai dati delle vendite – che ci sia un ritorno di fiamma. Un disco in fin dei conti può essere un progetto che va vissuto in toto, quindi anche nella sua parte grafica e nell’attenzione che gli si rivolge. Il vinile è qualcosa che ti costringe a prestare attenzione: già il solo gesto di metterlo sul piatto, il dover stare lì a cambiare il lato per ascoltare le canzoni è qualcosa che non ti permette di lasciare la musica in sottofondo e fare mille altre cose, ma devi dedicarti a essa. Poi la bellezza dell’oggetto sta anche nelle sue dimensioni, il fatto che sia così grande permette di far vedere la copertina come una sorta di quadro. È qualcosa che rende il progetto di un disco un’opera d’arte completa, bellissima.
Cosa c’è di interessante da sapere riguardo a questo disco?
Di sicuro la genesi è stata qualcosa di interessante. Seppure le canzoni sono nate tutte allo stesso modo – perché le canzoni di solito le scrivo a casa tutte piano e voce – una volta completate ho pensato che questo disco necessitasse di una veste differente per non ripeterci. Ormai siamo al sesto disco e reinterpretare noi stessi era qualcosa di poco di stimolante. Prima per noi e poi per chi ci ascolta. È vero ci sono caratteristiche dei Toys a cui molti sono affezionati, ma è anche bello vedere come riusciamo a reinventarci. Dopo aver scritto tutto in maniera basilare, pianoforte e voce, ho fatto lo stesso procedimento di scrittura però utilizzando delle macchine sintetiche, riscrivendo la stessa canzone sempre in forma di bozza con un gruppo da Dj. Dopodiché ho ascoltato entrambe le versioni e ho cercato di capire come orientarmi. Poi una volta in studio con la band abbiamo capito come vestirle. Questo voler spostare i piani sonori e quindi ‘riarredare’ il suono degli A Toys Orchestra è stato molto importante per la realizzazione del disco.
Mi parli delle canzoni?
Nello scrivere le canzoni di un disco, di solito cerco di avere una trama di fondo sulla quale lavorare, un filo conduttore che però non porti per forza alla realizzazione di un concept album. Mi sono ispirato alla teoria del caos, da qui il titolo The Butterfly Effect. Per ricordarci che siamo molto più vulnerabili di quel che crediamo, che siamo in balia degli eventi e che non siamo padroni del nostro destino, perché anche una minima variazione sconvolge inevitabilmente quelli che sono i nostri progetti futuri. È questo il concetto alla base della scrittura del disco. Non sono in grado di spiegare i testi, perché è un po’ come dover razionalizzare qualcosa che in realtà non si può. Quel che posso dire è che mi piace utilizzare un linguaggio molto onirico, qualcosa che lascia solo intravvedere certi concetti, riservandomi però una certa libertà di divagazione. Devo dire che tratta delle tematiche molto profonde. È il disco molto serio nella sua parte lirica, è il più triste e più drammatico che abbia mai scritto. Il voler mettere in contrasto il suono con certe tematiche era qualcosa che mi serviva anche a rendere un po’ quest’idea di caos, questo senso di sconvolgimento.