Domenica sera l'astronauta Samantha Cristoforetti partirà (prima donna italiana nello spazio) con la spedizione Futura 42. Ad aspettarla sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), un menù personalizzato cucinato dallo chef di Argotec Stefano Polato.
Stefano Polato ha cominciato la sua avventura di ‘astro-chef’ con Samantha Cristoforetti, astronauta italiana che sta per affrontare un viaggio nello spazio di sei mesi. E’ responsabile del Food Lab di Argotec, unica azienda fornitrice del ‘bonus food’ per gli astronauti europei: alimenti personalizzati che possono essere richiesti in aggiunta a quelli standard forniti dalla dispensa russa e americana.
Durante l’addestramento degli astronauti che si accingono ad affrontare un’avventura nello spazio arriva sempre il momento in cui si affronta il tema dell’alimentazione. Nell’immaginario collettivo tutto si riduce a mandare giù qualche strana pillola colorata. Niente sapore, nessuna complicazione pratica per nutrirsi in circostanze così particolari. Ma non è così. L’azienda piemontese offre un menù personalizzato che tiene conto delle esigenze nutrizionali e di gusto di chi deve affrontare lunghe settimane lontano dalla Terra.
I cibi che devono volare in orbita subiscono due tipi di processi principali: termostabilizzazione e liofilizzazione. Queste due soluzioni sono state ottimizzate negli ultimi anni per preservare al massimo i valori nutrizionali degli ingredienti di partenza. La Nasa impone degli standard: “Tra questi – racconta Polato – l’ostacolo più grande è la conservazione. Gli alimenti vanno trattati termicamente per allungarne la shelf-life (la durata di conservazione a temperatura ambiente, ndr).” Ovviamente non esistono frigoriferi a bordo perché tutta l’energia è dedicata alle strumentazioni.
Poi ci sono i cibi vietati, come quelli che producono briciole: “Si chiama rischio volatilità – spiega lo chef – non vogliamo che particelle anche minuscole svolazzino sulle strumentazioni o che vengano inalate con il rischio di provocare infezioni alle vie respiratorie.” La termostabilizzazione, la tecnica più utilizzata, è anche la più aggressiva: “Per superare i requisiti di sicurezza alimentare, la procedura standard prevede di portare i cibi a 121° C per almeno 15 minuti. Ma il prodotto così trattato rischia di perdere i suoi valori nutrizionali. Rimangono solo i macronutrienti, come gli zuccheri e i carboidrati.” Per evitare che ciò accada l’azienda italiana ha messo a punto una tecnologia innovativa , lavorando su altri parametri: pressione, acidità e grado zuccherino degli alimenti: “L’idea di partenza è quella di una cottura sottovuoto a basse temperature per preservare le caratteristiche organolettiche”, quindi più sapore e meno perdita di potere nutritivo. “Quando una mela è al punto giusto di maturazione, ne misuriamo il ph per vedere se è idonea alla termostabilizzazione a temperature più basse. Cerchiamo di rendere il pasto pronto all’uso un prodotto vivo, funzionale all’alimentazione e al sostentamento.”
Se si considera che l’invecchiamento cellulare di un astronauta in sei mesi (durata del viaggio di Samantha) è pari più o meno a 10 anni di vita sulla terra, si capisce quanto diventi cruciale ciò che si mangia: “Gli apparati muscolare e scheletrico in assenza di gravità vanno in rapido deperimento. Questi processi si possono contrastare con l’alimentazione, purché siano presenti antiossidanti, proteine facilmente assimilabili e tanto calcio.”
La cosmonauta italiana che il 23 novembre raggiungerà la Stazione spaziale internazionale, ha avuto il desiderio di impegnarsi anche per il benessere dei ‘terrestri’: “Appena approdato in questo mondo non capivo il fatto che tutto ciò che si fa e che si studia nello spazio ha sempre un ritorno sulla terra. Ad esempio c’è molto da fare con i prodotti a lunga conservazione, sia sul fronte dei valori nutrizionali che del packaging” . Samantha potrà sfruttare la visibilità di cui godrà durante il suo viaggio per mandare un messaggio forte sull’importanza di una alimentazione sana. “Abbiamo già testato queste nostre idee incontrando i bambini -aggiunge Polato – parlando della vita a bordo delle stazioni spaziali con un focus sulla nutrizione e abbiamo scoperto che attraverso l’immagine del supereroe si riesce a trasmettere informazioni utili ai bambini in modo molto efficace.”
La preparazione del bonus food della Cristoforetti ha richiesto due anni e mezzo di lavoro: “Abbiamo ripercorso la storia di Samantha in quanto ad abitudini alimentari. I cibi cui è più affezionata sono il pesce azzurro, i cereali integrali e la carne bianca. Ci siamo soffermati su quello che mangiava quando viveva in Val di Sole, in Trentino, inserendo prodotti tipici e spezie che ricordano quella zona. Il tutto, tenendo a mente tre concetti principali: eliminare lo zucchero e il sale raffinato, le farine bianche e i grassi insaturi.” Bonus food che sta già aspettando Samantha sulla Stazione spaziale. Portando con sè i concetti di ‘chilometro zero’ e slowfood, tanto in voga sulla Terra: “La stagionalità è in sintonia con la nostra attività non solo dal punto di vista nutrizionale ma anche della conservazione. Il prodotto di stagione è qualità maggiore rispetto a quello raccolto da una settimana che ha già perso il 50% delle sue proprietà.”
Ma sei mesi sono lunghi, e si scopre che il pasto così pensato può riportare a terra l’astronauta per qualche minuto, almeno con l’immaginazione, facendo leva sul profondo rapporto tra gusto olfatto e memoria: “Cerchiamo di far sentire a casa gli astronauti. C’è chi è particolarmente attaccato al caffè, chi la domenica è abituato a mangiare la lasagna. Conferire un po’ di quotidianità può aiutare nell’avventura.”
A seguire l’astronauta c’è una squadra futuristica di tecnologi alimentari messa in piedi dallo Space Food Lab, che include ingegneri e medici nutrizionisti. Grazie a questa intuizione tutta italiana, adesso anche Esa e Nasa hanno deciso di impegnarsi affinché agli astronauti arrivino cibi salutari e non più gelatine piene di conservanti, pensate decenni fa e utili solo alla mera sopravvivenza.
(Foto di Argotec)
Il Fatto Quotidiano, Lunedì 17 novembre 2014