Dario Franceschini lo ha scritto su Twitter lo scorso 20 novembre.

Il tweet del ministro fa riferimento all’emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera – precisamente a pag. 48 – nel quale si stabilisce: “Sono da considerarsi libri tutte le pubblicazioni identificate da codice Isbn e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica”. Ovvero che l’aliquota sui libri è fissata al 4%, indipendentemente dal loro supporto, in altri termini siano essi cartacei o e-book.

La Commissione ha fatto un primo passo, ora la patata bollente viene demandata alla Camera che dovrà approvare la Legge di Stabilità con relativi emendamenti. Non è ancora sicuro che questa decisione avrà il via libera del Parlamento, quindi è ancora presto per cantare vittoria ma, condivido la fiducia di Marco Polillo, presidente AIE-Associazione Italiana Editore, nel voto del Parlamento.

In questo momento l’attenzione del governo e dei deputati è concentrata sulla social card e l’e-book è cosa di poco conto. A mio avviso, infatti, lo scoglio più duro da superare è l’approvazione dell’Europa che anche recentemente si è espressa negativamente nei confronti dell’equiparazione dell’aliquota degli e-book a quella dei libri cartacei. La maggior parte dei parlamentari europei ritiene che per i libri digitali l’Iva debba continuare a rimanere al 22%. In questo caso, all’orizzonte si prospetterebbe un procedimento di infrazione nei confronti di quei Paesi che non hanno rispettato le direttive europee.

Riusciranno Francia, Italia e Lussemburgo a convincere i rappresentanti degli altri Paesi a compiere questo gesto “rivoluzionario”? Indubbiamente non è così semplice, si tratta di superare lobby e concetti stereotipati, quali ad esempio “il profumo della carta” e “il piacere della fisicità che solo il libro cartaceo può donare”. Sul fronte lobby, invece, occorre fare i conti con le cartiere e gli stampatori che paventeranno un decremento di produttività per il loro settore, con la possibilità di perdita di posti di lavoro.

Negli Stati Uniti, infatti, molti editori scelgono di pubblicare alcuni libri solo in formato digitale, quindi oltreoceano l’e-book rappresenta ormai il 25% del mercato e c’è chi sostiene che arriverà al 50% entro pochi anni, con una crescita però scalare non lineare. In Italia l’e-book rappresenta solo il 3-5% del mercato editoriale, ma in Germania la piattaforma Tolino, con una quota di mercato pari al 38% , fronteggia in modo egregio la corazzata Amazon.

Quando i numeri degli e-book diventeranno consistenti anche in Italia, sicuramente porteranno un po’ di scompiglio nei bilanci degli editori tradizionale. Oggi c’è una gran confusione tra stampato, distribuito e venduto, e spesso non si dà alle rese dei libri il peso che meriterebbero. Oggi i volumi vanno dal magazzino dell’editore a quello del distributore, sostano per breve tempo in libreria, nei suoi magazzini, e poi percorrono il viaggio al contrario per terminare la corsa al macero o nei depositi di aziende che li rimettono in circolo a metà prezzo. In pratica i libri trascorrono più tempo inscatolati e viaggiando e  rispetto a quanto restano esposti sugli scaffali delle librerie.

Con gli e-book tutto questo è destinato a sparire, e i conteggi si faranno solo sui libri effettivamente venduti e in tempo reale. Gli editori, quindi non potranno più pagare il dovuto, a babbo morto, agli scrittori.

Ma tutto ciò è ancora lontano, quindi per il momento, constato con soddisfazione che l’Italia, almeno in questo, non ha abbassato la testa davanti all’Europa, ha invece ha avuto il coraggio di schierarsi su una posizione che favorisce la diffusione della cultura. Inoltre, da lettrice continuo a sperare nella riduzione dell’Iva che mi consentirà di acquistare più libri spendendo meno.

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