Non ho mai seguito quei programmi dedicati ai misteri e alle cose inspiegabili, non perché non mi interessino le stramberie, ma perché preferisco continuare a pensarle come tali, piuttosto che prenderle sul serio o scoprirle frutto di un qualche bontempone. Non so quindi esattamente chi ha sostituito Ruggeri alla conduzione di Mistero o se il gigante Giacobbo continua a fare Voyager.

So solo che, se mai mi decidessi a guardarli, dovendo ipotizzare una wish list di argomenti al primo posto dei misteri irrisolti, secondo me, ci dovrebbe essere senza ombra di dubbio Marco Mengoni. Sì, ogni volta che mi capita di sentire una sua nuova canzone, o anche di sentirne una vecchia (fatico spesso a distinguerle tra loro), mi interrogo su come sia possibile che Marco Mengoni venga riconosciuto ufficialmente come una popstar italiana, rara speranza per l’italico musical futuro. Partendo dal presupposto che non può essere solo il pubblico a determinare ciò, perché in caso non ci sarebbero tutti i quotidianisti e i critici musicali d’antan a incensarne le lodi, più lo sento più mi chiedo come sia possibile che a uno con un repertorio come il suo venga ancora concessa una chance (non di pubblicare, figuriamoci, escono dischi di J-Ax o di Gigi D’Alessio, ma di essere preso sul serio come artista).

Mengoni 640

Mi spiego, prendendola come mia consuetudine alla larga.

Leggevo giorni fa da parte di Paola De Simone, una mia collega, un legittimo attacco a Giorgia per il suo non essere riuscita, nel tempo, a azzeccare brani capaci di esaltarne l’indubbio talento. Ora, pur non convenendo con la radicalità della critica, perché a me alcune di Giorgia, parlo di canzoni quasi tutte uscite negli anni Zero (Di sole e d’azzurro, Gocce di memoria, Per sempre, Marzo), non sono dispiaciute affatto, capisco che con quella voce lì, con tutte le aspettative che su quella voce unanimemente avevano in tanti, sentirla cantare le canzoni che ha cantato negli ultimi anni lasci l’amaro in bocca. Hai un talento vocale, ok, ma quel talento lo devi mettere al servizio di un repertorio all’altezza, se no stai sotterrando i talenti, per dirla col Vangelo. O semplicemente hai la voce e basta. Ok. Sul fatto che Giorgia abbia un repertorio da ergastolo siamo tutti d’accordo. Anche io che in passato ci sono finito a letto (cercate in rete, e non lasciatevi andare a chissà quale idea).

Però poi esce un prescindibile singolo di Mengoni e tutti, compresa la De Simone, a dire: “ah, che talento”, “ah, che stile”, “ah, che icona”. Ma come? Giorgia la frustiamo sulle piante dei piedi perché non azzecca i brani e a Mengoni perdoniamo quelle robettine lì? Sì, L’essenziale di Roberto Casalino non era male. Ma diciamo che ci si augura non sia la canzone destinata a rappresentare la nostra musica leggera in un futuro prossimo (lo stesso Casalino ha fatto di meglio), e che in tutti i casi una rondine non fa primavera, figuriamoci una beccaccia.

Mengoni non ha azzeccato un brano degno delle aspettative che su di lui da subito in tanti hanno riposto neanche per sbaglio. Tutte canzoncine prescindibili, che le senti e dopo un attimo te le sei scordate. Perché nessuno dei quotidianisti, spesso presi a sedere sugli scranni dei talent non lo dice (forse proprio per quello)? Perché i critici musicali non tentano di frustarlo sulle piante dei piedi, come con Giorgia (forse perché sono feticisti dei piedi, e i piedi di Giorgia li attirano di più?)?

Qualcuno dirà, è giovane, ha pubblicato solo due album e una manciata di singoli, diamogli tempo. No, amici miei, queste son scuse. Oggi come oggi il mercato è cambiato, lo dicono i fatti e lo sappiamo bene tutti. A nessuno viene più concesso più di un singolo, perché a lui viene concesso tutto questo tempo? Perché vende, dirà qualcuno, e ha ragione. Ma allora sono i numeri che contano, smettetela di parlare di talento e di icone. Anche perché, diciamocelo, non fosse stato quello con gli occhi da matto e i pianti alla Fedez (cioè continui) a X-Factor (quando X-Factor era in Rai, con milioni di spettatori), non avesse quindi avuto sin da subito un grande pubblico a disposizione, già fidelizzato e pronto a seguirlo, col cavolo che avrebbe venduto così tanto.

Mengoni ha vinto il talent, è vero, ma la vera vittoria l’ha fatta il programma, che gli ha creato una comunità di riferimento, pronta a seguirlo a prescindere dal suo repertorio, in effetti davvero carente. Per dire, se tutti ci sentiamo autorizzati (tutti tranne i soliti quotidianisti che siedono sugli scranni dei talent, sia chiaro, che non si sputa dentro il piatto in cui si mangia) a perculare Emma o la Amoroso, ché sono grezze, con canzonette nazionalpopolari, tutti dovremmo poterlo fare anche con Mengoni, senza correre il rischio di ledere chissà quale maestà (il re matto?).

Però, siccome non voglio essere quello che parla male di un artista e ci passa per il lamentoso da cantiere, torno a caldeggiarvi un nome cui tengo molto, perché i talenti esistono, e dovere di chi si occupa di musica sarebbe dedicar loro spazi, altroché inneggiare a canzoncine come quelle di Mengoni. L’artista di cui torno a parlarvi è Chiara Vidonis, la cantautrice di cui vi ho parlato qualche settimana fa, presentandovi la sua Quando odiavo Roma.

Mi occupo da sempre di cantautorato femminile, e in passato ho avuto l’onore e la fortuna di lavorare fianco a fianco con diversi nomi importanti della musica leggera italiana, ma raramente mi è capitato di provare lo stesso tipo di meraviglia di fronte a un’esordiente, la stessa capacità di passare da brani più duri, a volte con venature rock, a volte quasi punk, ad altri più eterei, appoggiati su strumenti acustici, su strutture più lineari e apparentemente rassicuranti.

Vi prometto che il prossimo post lo dedicherò interamente a lei, ma siccome non c’è niente che attira l’attenzione come un nome mainstream, magari nel titolo ci butterò Jovanotti o Elisa, visto mai che sia la volta buona che cominciate a seguirla…

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