Un conto in Svizzera sul quale potrebbero essere arrivati i soldi della presunta tangente contestata dalla procura di Roma a Marco Di Stefano, il renziano dell’ultima ora ma subito promosso coordinatore alla Leopolda. Secondo i pm romani Corrado Fasanelli e Maria Cristina Palaia l’ex assessore al Demanio del Lazio sarebbe stato corrotto dall’imprenditore romano Daniele Pulcini con una mazzetta di 1,8 milioni di euro perché la controllata della Regione, Lazio Service, prendesse in affitto una nuova sede di proprietà del gruppo Pulcini.

Nel silenzio del partito di Matteo Renzi, che non ha detto una parola sul ‘caso Di Stefano’, intanto le indagini continuano, e nel mirino dei pm oltre la vicenda del palazzo di via Serafico dei Pulcini, ci sarebbero finiti altri tre appalti. Intanto nei giorni scorsi, le autorità svizzere hanno risposto ad una rogatoria internazionale inviata dai magistrati capitolini. A Ginevra esisteva un conto (ora estinto) presso l’Ubs sul quale Di Stefano aveva la procura ad operare. Il rapporto bancario non è intestato direttamente all’onorevole, ma i pm sono certi che sia riconducibile a lui. Circostanza che non risulta al legale di Di Stefano, l’avvocato Francesco Gianzi: “Allo stato attuale, sembra che il mio assistito non abbia alcun conto in Svizzera. Aspettiamo l’esito delle indagini”. Il sospetto dei pm però è che su quel conto riconducibile a Di Stefano potrebbe essere transitata la tangente da 1,8 milione. A mettere nei guai il renziano sono due testimonianze rese nel 2010. La prima è quella del fratello di Alfredo Guagnelli, l’amico dell’onorevole scomparso misteriosamente a ottobre del 2009. Bruno Guagnelli sentito dai pm aveva detto: “In una circostanza mio fratello mi disse, ridendo, che Daniele Pulcini diceva sempre che l’assessore, riferito a Di Stefano, era un ladro perché aveva preteso 1.800.000,00 euro per il buon esito di un affitto o di un acquisto di un palazzo di cui aveva bisogno la Regione Lazio nel 2009”.

Stessa versione è stata riferita anche dall’ex moglie del “leopoldo”, Gilda Renzi: “Sempre da Bruno (Guagnelli, ndr) apprendevo che il rapporto tra Daniele Pulcini e mio marito Marco era contraddistinto da forti interessi economici poiché Antonio Pulcini aveva dato in affitto, alla Regione Lazio, un palazzo. Alfredo gli aveva anche aggiunto che Marco Di Stefano aveva percepito 1,8 milioni di euro di ‘mazzette’ mentre Alfredo, che aveva fatto da intermediario aveva, a sua volta, percepito 300 mila euro di ‘mazzette’”. Era solo l’inizio. Poi con le indagini si è scoperto che la rete politica dello scomparso Alfredo Guagnelli era molto più ampia. Tra i testimoni sentiti nel 2009 c’era l’ex socio di Guagnelli, il fotografo Alessandro Innocenzi, che ha raccontato dei viaggi fatti anche da alcuni politici con Alfredo. A Montecarlo, uno volta Alfredo Guagnelli portò anche Innocenzi ed è stato in quell’occasione che il socio tornato in albergo avrebbe trovato su un tavolino decine di mazzette di banconote da 500 euro. Che si trattasse dei soldi a Di Stefano, sentito dal Fatto nelle scorse settimane, Alessandro Innocenzi non può assolutamente confermarlo. Innocenzi al Fatto rivela che tra le amicizie politiche di Guagnelli c’era anche Paolo Bartolozzi, ex parlamentare europeo in quota Forza Italia: “Lo aiutò nella campagna elettorale del 2005 per diventare deputato europeo. Praticamente mi chiese di fare un bonifico da un conto cointestato della nostra società di 6mila euro”. Nulla di irregolare, spiega Bartolozzi raggiunto nei giorni scorsi al telefono, perchè il bonifico era registrato ed era solo il sostegno alla campagna elettorale.

Adesso su quella scomparsa, il pm Cugini sta ancora indagando. Anche Di Stefano verrà risentito, come è stata sentita la ex moglie nei giorni scorsi. Dopo questo interrogatorio, alcune testate giornalistiche riportavano la notizia (smentita da Gilda Renzi) di alcuni festini hard. “In questi giorni – ha detto Gilda Renzi al Fatto – ho letto testate giornalistiche con vari titoli da gossip. Smentisco con forza queste affermazioni che mi sono state attribuite e addebitate. Per questo ho dato mandato al mio avvocato di tutelarmi e di procedere per vie legali nelle sedi opportune”. Intanto il marito dichiara guerra: “Da sette anni sono vittima di stalking, non posso esimermi dal querelarla per calunnia, diffamazione e falsa testimonianza se quanto scritto sui giornali corrispondesse ai verbali”.

Twitter: @PacelliValeria

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