L'ex direttore generale Rai ha superato i 5 anni di aspettativa concessi a chi lavora per un'azienda privata. Lui replica: "La normativa va interpreta. Ma farò quello che dicono". Ma alla sede del governo non sanno nulla
Si tiene stretto il posto di alto dirigente di Palazzo Chigi, pur non lavorando più nel settore della pubblica amministrazione. Da sette mesi Mauro Masi, che i più ricorderanno come direttore generale della Rai ed espressione di quel giannilettismo che per anni ha dominato a viale Mazzini e dintorni, non potrebbe più presiedere la Consap, la Spa concessionaria dei servizi assicurati. E, soprattutto, dovrebbe tornare nei ranghi come dirigente alla presidenza del Consiglio, sospendendo il periodo di aspettativa. A dirlo è una norma prevista dalle disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato (decreto legislativo 165 del 2001): “Nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa non può superare i cinque anni”. Altrimenti, spiega una fonte interna, “può anche rimanere lì alla Consap ma deve essere tolto dai ruoli dirigenziali”.
Gradi di cui al momento Masi si può ancora fregiare perché – stando all’ultimo elenco pubblico dal governo presso il proprio sito istituzionale relativo al “ruolo dei dirigenti“ (situazione al 14 luglio 2014) – l’attuale presidente e ad della Consap risulta ancora un dirigente di prima fascia della presidenza del Consiglio ma in “aspettativa”. Lo stato dell’arte impone il seguente dubbio: si tratta di una mera dimenticanza, o un errore “ a sua insaputa” degli alti piani del palazzo? Dal dipartimento “per le politiche di gestione, promozione e sviluppo del personale” della presidenza del Consiglio, le bocche restano cucite. Dopo una serie di telefonate da parte de ilfattoquotidiano.it, la segreteria del dipartimento ritiene che “non siamo tenuti a diffondere queste informazioni, ma dovete rivolgervi all’ufficio stampa di Palazzo Chigi”. Ma l’ufficio stampa della sede del governo, messo al corrente dei fatti, allarga le braccia: “Guarda, non ne so nulla. Ma ti farò sapere al più presto”. La risposta non è mai arrivata. Una fonte interna rivela però che “nel mese di settembre l’amministrazione se ne se ne sarebbe accorta ma avrebbe congelato il dossier”. Altri invece con un filo di malizia mettono a verbale che “Masi starebbe facendo pressioni per restare nei ruoli e soprattutto per tenersi un paracadute”.
Ma lui spiega: “Sono ancora in aspettativa. Non so dire niente sulla questione che mi ponete. Aspetto notizie da Palazzo Chigi. Quello che mi dicono di fare, farò”. “La normativa – dice Masi – deve essere interpretata. L’interpretazione della norma è un’interpretazione aperta. Ma la mia è la seguente: io ho avuto due distacchi e il secondo risale al 10 giugno del 2011, quindi non sono passati i 5 anni. Ma, le ripeto, io mi atterrò a qualunque decisione di Palazzo Chigi. La mia, in qualità di giurista, vuole essere una precisazione in punta di diritto. Zero polemiche”.
Fatto sta che sono passati 5 anni e 7 mesi da quando il 2 aprile del 2009 il governo di Silvio Berlusconi promosse il “grand commis di Stato”, Mauro Masi, amico della filiera Bisignani-Letta (Gianni), a direttore generale della Rai. Anni in cui il dg si distinse più per la telefonata in diretta a Michele Santoro dissociandosi dai contenuti di Annozero, contenuti che per l’occasione riguardavano lo scandalo Ruby: “Le sto dicendo – sbottava al’epoca in diretta endosi al conduttore – che ritiro me stesso e l’azienda dal tipo di trasmissione che sta facendo”. E Santoro rispondeva lasciandolo di sasso: “Se ritira se stesso mi pare anche buono. Buonanotte”.
Anni in cui l’attuale presidente e ad della Consap aggiornava quotidianamente il consigliere politico Luigi Bisignani rassicurandolo su alcuni programmi come Report: “Ho visto il palinsesto, è tutto sotto controllo. E’ contro l’eolico questa sera”. Un grand commis di Stato, Masi, che si destreggia nei palazzi come pochi. Del resto la sua carriera parla chiaro: dopo aver vinto un concorso in Bankitalia per la carriera direttiva, nel 1996 – ai tempi del primo esecutivo guidato da Romano Prodi – viene nominato direttore generale alla presidenza del Consiglio, e, soprattutto, capo del Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi. Incarichi che gli consentono di stringere rapporti con l’intero arco costituzionale e di scalare passo dopo passo i piani di piazza Colonna fino a divenire nel 2005 segretario generale della presidenza del Consiglio con Berlusconi. Nel 2006 quando il centrosinistra vince per un soffio le elezioni politiche Massimo D’Alema lo sceglie come capo di gabinetto e nel 2008 ancora l’ex Cavaliere lo nomina segretario generale di Palazzo Chigi. Dopo gli anni trascorsi a viale Mazzini – qualcuno lo definì “il peggior direttore generale che la Rai abbia mai avuto” – l’amico Gianni Letta gli riserva la poltrona di ad Consap. Stipendio prima del tetto ai manager imposto dal governo Renzi: 446mila euro. Restando, però, sempre in aspettativa da Palazzo Chigi. Con il paracadute in tasca.