Processo Eternit: l’amianto è indistruttibile, il diritto si può demolire?
“Amianto” viene dal greco e vuol dire incorruttibile, immacolato; proprietà che, evidentemente, continua ad essere tanto comune ai padroni di questo minerale ed alla loro fedina penale, quanto aliena ai poveracci che lo utilizzavano o vi erano comunque esposti, e al loro apparato respiratorio.
“Asbesto” è l’altro nome, scientifico, dell’amianto: significa indistruttibile; com’è, nel nostro ordinamento penale, l’idea che il mero decorrere del tempo da un reato debba servire, oltreché a sanare le ferite delle vittime e dei loro cari ad annullare le colpe degli autori e a condonare loro ogni pena.
Non conosciamo le motivazioni della sentenza Eternit.
Sin d’ora, però, già sulla base degli elementi a nostra disposizione è possibile, o, forse meglio, doveroso, provare a trarre qualche lezione dall’epilogo di questa vicenda giudiziaria.
- C’è voluto l’oltraggio finale a 3000 morti ammazzati della “estinzione del reato” perché nella “classe di governo”, rigorosamente bipartisan, fino ai suoi vertici notoriamente più loquaci, ci si accorgesse di quella “anomalia” tutta nazionale che è la prescrizione in salsa italiana, con il corollario di solenni proponimenti di “riforma”. Questa, per esser davvero utile a scongiurare il ripetersi di provvedimenti giudiziari come quello in esame, dovrebbe esser tanto lucida quanto coraggiosa (troppo, forse, tenendo conto dei tempi che corrono): per esempio, dovrebbe prevedere l’imprescrittibilità di un reato come il disastro ambientale. Ma il primo auspicio, fervido quanto dubbioso, che sorge spontaneo è che quelle promesse di riforma abbiano un’aspettativa di vita appena più lunga di quella di un tweet.
- L’approvazione del disegno di legge che introduce nel codice penale i delitti contro l’ambiente e che è impantanato da mesi al Senato non è più differibile. Ma dovrà esser adeguatamente emendato nel senso che hanno invocato le associazioni ambientaliste più avvedute e i giuristi più lucidi: anzitutto sganciando la consumazione dei delitti che la nuova legge istituisce dalla necessaria violazione preliminare, sancita nel testo approvato dalla Camera, “di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale.” A questa condizione, quella legge e i nuovi reati che essa prevede, anzitutto quello d’inquinamento d’ambientale prim’ancora che quello di disastro, potrebbero dispiegare sul serio un’efficacia repressiva e, dunque, preventiva di condotte micidiali, anche perché seriali, per l’ambiente e, quindi, per la salute pubblica.
- A diritto vigente, non v’era, comunque, alcun “obbligo” giuridico per la Cassazione di approdare ad una sentenza del genere. In tal senso, pertanto, appaiono quantomeno “curiose” le discettazioni sulla presunta contrapposizione tra diritto e giustizia in cui si è prodotto il rappresentante della pretesa punitiva dello Stato in Corte di Cassazione, ossia il Procuratore Generale. A meno di non voler pensare che i 6 giudici, tra Tribunale e Corte d’appello (oltre, naturalmente, ai magistrati della Procura), che hanno emesso due sentenze opposte a questa fossero tutti affetti da truce foga “giustizialista” e, quindi, “antigiuridica”. Il Pg e la Cassazione hanno fatto una scelta: il disastro ambientale si consuma con la sola emissione delle sostanze inquinanti; le conseguenze disastrose di queste condotte sull’ambiente e sulla vita delle persone non rilevano da un punto di vista penale. E’ un’opzione interpretativa chiaramente formalistica. Ma il formalismo giuridico non è una dottrina neutra: esso sottende, come tutte le dottrine, un approccio pesantemente “sostanzialistico” nella compilazione della lista dei beni “sostanziali” e, dunque, dei soggetti da tutelare in via prioritaria. L’ambiente e la salute pubblica oggi, nell’agenda politica e culturale di questo paese, non sono in cima a quella lista. Dunque, non lo sono neanche nella considerazione di un pezzo apicale della giurisdizione (anche di quella costituzionale, come ha insegnato la vicenda, parimenti illuminante, del procedimento Ilva di Taranto).
Il problema è che così non è solo la giustizia, ma anche e soprattutto il diritto, nella percezione dei cittadini, a partire dalle vittime, a ritrovarsi tutt’altro che indistruttibile.
E, men che meno, immacolato.