A Torino, durante i processi di primo grado e di Appello, non lo hanno mai visto. Così come non lo vedevano quasi mai a Casale Monferrato, dove per tutti era semplicemente “lo Svizzero”. Eppure Stephan Schmidheiny non è – a quanto pare – uomo così schivo. Salvato in Cassazione dalla prescrizione dopo una condanna a 18 anni per i morti causati dalle spore di amianto della sua Eternit, il magnate svizzero ha sentito il bisogno di celebrare pubblicamente quella che lui – dimostrando di aver imparato molto bene certe lezioni di italiano – considera a sproposito un’assoluzione: “La sentenza della Suprema Corte – scrive in un comunicato – conferma che il processo Eternit si è svolto in violazione dei principi del giusto processo”. Non sappiamo chi gli abbia raccontato questa storia, dal momento che il pg della Cassazione Iacoviello lo ha definito comunque “responsabile di tutte le condanne a lui ascritte”, ossia consapevole di quanto letale fosse l’amianto lasciato libero di liberarsi nell’aria di Casale Monferrato (accusa invero un po’ lontana dalla definizione di “pioniere dei metodi più sicuri nella lavorazione dell’amianto” che Schmidheiny da di sé).
Di certo, però, devono avergli comunicato che presto potrebbe essere processato per altre 200 morti (a Casale si continua a morire) e questa volta per omicidio: “Mi aspetto che lo Stato italiano – scrive infatti ancora il magnate nella sua nota – mi protegga da ulteriori processi ingiustificati”. Le perizie depositate al processo di Torino dicono che a Casale Monferrato la percentuale di contrarre una malattia mortale legata all’amianto è 2.000 volte superiore a quella della media. E dall’Eternit, la sua fabbrica, usciva l’amianto che si infilava nei polmoni dei casalesi. Eppure, secondo il signor Schmidheiny, i processi sono “ingiustificati”. Libero di pensarlo, così come è stato libero di reinventare se stesso (dopo che nel 1986 abbandonò l’Eternit) come alfiere mondiale dello sviluppo sostenibile, impegnato “nella protezione e nella crescita ambientale per rispondere alle esigenze economiche e sociali della generazione attuale, senza compromettere le generazioni future”. Così scriveva nel 1991, quando fondò il Business Council of Sustainable Development, un ristretto club che riunisce 51 grandi industriali molto preoccupati per le sorti del pianeta. Alla guida del Council partecipò anche alla conferenza mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, consegnando nelle mani dell’allora presidente degli Stati Uniti George Bush (padre) una relazione di 374 pagine contenente la summa delle sue idee ambientaliste. Idee che poi trasfuse in un libro dal titolo Cambiare rotta, pubblicato in Italia dal Mulino. Negli anni 90 l’ex signor Eternit ha poi fondato la fondazione “Avina” per contribuire allo “sviluppo sostenibile dell’America Latina” (possiede, tra l’altro, 128 mila ettari di terra nel Cile meridionale) e tuttora finanzia associazioni ambientaliste in tutto il mondo.
È libero, insomma, il signor Schmidheiny di sentirsi un campione dell’ambiente. Ed è libero di credere che sarà nuovamente assolto. Ma altrettanto liberi sono i malati e i parenti delle vittime nel parafrasare – finalmente a proposito – il famoso verso de La Canzone del Maggio di Fabrizio De André “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. E liberi tutti noi di pensare che il denaro non può comprare lo stile. In questo caso, un bel silenzio, sarebbe stato più dignitoso.
il Fatto Quotidiano, 21 Novembre 2014