Si va da Belcastro (già sottosegretario di B.) a Tripodi (ex Udeur) e Sciarrone (ex Fi). L'esponente dem, secondo i sondaggi, vincerà a mani basse, ma di rottamazione renziana e di codice etico non c'è traccia
Le elezioni regionali sono state già scritte in Calabria. Il candidato del Pd, Mario Oliverio, vincerà a mani basse ed è già governatore in pectore. La sua elezione, domenica, non è messa in discussione. Lo dicono i sondaggi. Ma soprattutto lo conferma il clima che si respira in tutta la Regione. I gruppi di potere si sono spostati ed è finita l’era di Giuseppe Scopelliti che ha tentato di esportare il “modello Reggio” a Catanzaro, sede della giunta regionale. Il suo regno, però, è caduto sotto i colpi delle sentenze sul “Caso Fallara” e degli scioglimenti per mafia. Le poche truppe cammellate che gli sono rimaste fedeli sostengono Wanda Ferro, candidata di Forza Italia scelta da Berlusconi. Le altre hanno già trovato due nuovi padroni, i fratelli Tonino e Pino Gentile (Ncd) che, dopo aver tentato l’“accurduni” con il Partito democratico , in coalizione con l’Udc hanno fondato il terzo polo puntando sul senatore Nico D’Ascola.
Completano la lista dei candidati a governatore il professore Domenico Gattuso dell’Altra Calabria (ex Tsipras) e Cono Cantelmi del Movimento 5 Stelle. Dopo la débâcle dei pentastellati al Comune di Reggio, le parole dei giorni scorsi di Grillo non promettono nulla di buono: “Alle regionali magari prenderemo il 2,2%”. I grossi numeri, perciò, sono tutti del Pd e delle liste collegate a Oliverio, seguito come un’ombra dall’ex consigliere regionale Nicola Adamo e dalla moglie, la deputata Enza Bruno Bossio. Il rinnovamento passa anche da loro. Una rottamazione in stile ‘nduja quella che sta avvenendo in Calabria, affidata ai diversamente renziani che rispondono a D’Alema e che hanno trascorso tre quarti della loro vita facendo politica. Lo stesso Oliverio è entrato per la prima volta in Consiglio regionale nel 1980.
La macchina si è messa in moto. Un film già visto con Chiaravalloti nel 2000, con Loiero nel 2005 e con Scopelliti nel 2010. Adesso alla corte del vincente arrivano numerosi esponenti del centrodestra accolti a braccia aperte da un Pd che vuole spacciare per rinnovamento il riciclo di politici e dirigenti che, fino a pochi mesi fa, si battevano il petto in nome dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. La giostra deve andare avanti e la sensazione è che il biglietto lo possano comprare tutti. La Calabria è anche questa: un grumo di potere che, ogni cinque anni, si ricicla e trova un nuovo padrone da servire e che sia in grado di assicurare che le cose cambino ma non troppo. Oliverio parla di “una netta discontinuità e rottura con il fallimento sancito dal centrodestra. Dopo il voto non presterò il fianco a nessun inciucio”.
Dopo forse, prima sicuro. Tra i candidati che lo sostengono, infatti, hanno trovato spazio trasformisti come Elio Belcastro (ex sottosegretario dei governi Berlusconi), Pasquale Tripodi (già Udeur), Rocco Sciarrone (ex consigliere provinciale di Forza Italia e organizzatore dei pullman di sostenitori da schierare sotto Palazzo Grazioli in difesa del Caimano) e Flora Sculco (figlia d’arte di Enzo, ex consigliere regionale della Margherita che, dopo aver lasciato la poltrona perché condannato a 4 anni per concussione, fondò, i “Demokratici” e sostenne Scopelliti). Il codice etico è rimasto chiuso nel cassetto. Antonio Scalzo è uno dei pochi consiglieri regionali uscenti ad essere stato ricandidato e pochi giorni dopo rinviato a giudizio per presunti illeciti nella gestione della Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Non è l’unico a rischiare. A Reggio c’è un fascicolo sui rimborsi percepiti da oltre una trentina di consiglieri indagati per peculato e candidati non solo nel Pd. Nei prossimi giorni la Procura dovrà decidere quali provvedimenti assumere. Venerdì si conclude la campagna elettorale più dura per la politica calabrese. I posti sono 30 e non 50. Nel 2005, a Locri, si sparava addosso a Franco Fortugno, l’ex vicepresidente del Consiglio. Nessuno lo ricorda più. La ‘ndrangheta non esiste nella Regione dei diversamente renziani.
da il Fatto Quotidiano del 18 novembre 2014