Ci sono orme e orme. Ci sono quelle che, spesso lasciate da mocassini troppo eleganti, percorrono strade strette e dritte, che da qualche parte portano, ma in una direzione soltanto. E ci sono invece quelle impresse su sentieri solitari dai piedi di chi sale ad altezze impensabili, scende lungo rapide vorticose e cammina al ritmo della natura, fermandosi solo quando è il momento di ascoltare, riflettere e conoscere. Sono quest’ultime quelle che vale la pena seguire, ma servono cuore, testa e fegato. Quelli che ha messo Igor D’India, 30enne videomaker palermitano, in un viaggio con il quale attraverso 16mila chilometri d’autostop e 1.400 di canoa in solitaria lungo il fiume Yukon ha reso onore all’analoga spedizione (almeno per la parte a colpi di pagaia) fatta tra Canada ed Alaska dal grande alpinista ed esploratore Walter Bonatti nel 1965, descritta nel libro “In terre lontane” e in un reportage realizzato 50 anni fa su “Epoca”.
«Sono cresciuto con i libri di Bonatti – spiega Igor – e ciò che più ammiravo era quel suo viaggiare senza compromessi per conoscere l’ignoto, ma anche con grande umiltà e misurandosi con le proprie capacità e paure. È quello che ha sempre voluto fare anch’io». E poi c’era il fascino dell’Alaska, del Grande Nord: «Per me rappresenta l’archetipo dell’avventura. E, senza volermi certo paragonare alle leggende che mi hanno preceduto, mi piace pensare a questo viaggio come a una staffetta nella quale ho ricevuto il testimone da Bonatti che a sua volta aveva studiato e si era ispirato grazie agli esploratori che avevano già fatto questo tragitto e ai romanzi di Jack London». Per D’India questo spedizione nelle terre rese famose dalla Corsa all’Oro del XIX secolo rappresentava la naturale continuazione di un percorso dopo aver già realizzato reportage in Ossezia, nel Sahara e a Cuba, aver preso parte a spedizioni come l’Africa e il Mongol Rally e aver vissuto un’intensa esperienza speleologica rimanendo per 700 ore in solitaria in una grotta a 25 metri di profondità. Coraggio ma non improvvisazione, quindi, anche se per lui autostop e canoa erano mezzi inediti.
La benedizione di Walter Bonatti alla sua impresa era già arrivata, anche se purtroppo da un posto che sta ancora più in alto delle vette che questo mitico viaggiatore ha dominato, attraverso una serie di segni, di quelli che tolgono ogni dubbio: «Quando seppi della morte di Bonatti decisi di andare al suo funerale e consegnai alla sua compagna Rossana Podestà una lettera in cui cercavo di spiegare cosa Walter significasse per me». Con grande sorpresa di Igor, Rossana lo ricontattò e lo invitò ad andare a trovarla: «Lì ho visto la pagaia originale con cui Bonatti affrontò lo Yukon e ho conosciuto Reinhold Messner che Rossana aveva chiamato per farmi una sorpresa. Quando lui salutandomi mi ha detto “Buona fortuna in Alaska”, ho capito che dovevo partire».
Igor ha compiuto un primo sopralluogo nelle zone raccontate da Bonatti nel 2013, al termine di un periodo di 6 mesi trascorso in Canada a lavorare come lavapiatti: «Il visto stava per scadere e i soldi per finire – racconta Igor – così decisi di percorrere in autostop i 7mila chilometri che dividono Toronto da Dawson City, città della quale Bonatti parla davvero positivamente. E infatti ho trovato gente meravigliosa e carismatica, incontrando anche persone che lo avevano conosciuto 50 anni prima. Lì ho cominciato a capire che l’impresa era fattibile».
Igor non è uno che ama le cose facili e perciò, quando nello scorso maggio torna in Canada per compiere finalmente il suo viaggio, per raggiungere Dawson City affronta nuovamente 7mila chilometri di autostop partendo da Toronto. E anche questa strada percorsa con il pollice alzato gli ha permesso di arricchire la sua galleria di immagini e persone: «Per fare tratti lunghi mi affidavo ai lavoratori stagionali che tornavano a casa, ma mi hanno offerto un passaggio anche famiglie, donne giovani e anziani. Quelli che mi sono rimasti più impressi sono un pescatore vietnamita che affrontava quelle strade con una vettura improbabile e ignorando cosa fossero le catene da neve, e un uomo che mentre mi trovavo in macchina con lui fu arrestato per un equivoco». A Dawson City Igor si fermò un mese per studiare le mappe e fare pratica con la canoa grazie anche all’aiuto delle persone del posto. Poi si spostò qualche centinaio di chilometri più a sud, a Whitehorse, dove si procurò una canoa di seconda mano che ribattezzò Rossana, in onore della Podestà, e sulla quale mise l’unico logo della sua spedizione priva di sponsor: quello della Onlus “Sport senza frontiere” che si occupa di aiutare i bambini svantaggiati.
Da qui partì gettandosi lungo il corso del fiume: ripassò di nuovo per Dawson City, entrò poi in Alaska presso Eagle e raggiunse Fort Yukon, il punto più a nord all’interno del Circolo Polare Artico: «Mentre viaggiavo avevo una costante sensazione di deja vu, probabilmente per le parole di Bonatti che avevo letto e per le mappe che avevo studiato». E presto Igor, che non aveva con sé nessun strumento elettronico per l’orientamento e si accampava nelle isolette all’interno del corso d’acqua, trovò un modo di convivere con lo Yukon: «Il fiume è un maestro duro, ma era come se mi stesse lasciando passare, mi dava sempre una via d’uscita. E anche gli animali, come coyote, orsi e lupi, non mi spaventavano. Anzi, era come se mi proteggessero».
Da Fort Yukon l’obiettivo era portare la canoa ad Old Crow e da lì discendere l’affluente Porcupine, proprio come Bonatti. Ma due settimane di tempesta con venti a 60 miglia all’ora fermarono la corsa di Igor che si ritrovò a risalire il Porcupine controcorrente su un motoscafo guidata da Nativi di quelle terre: «Rispetto ai racconti di Bonatti lo spirito degli abitanti di questa regione è rimasto inalterato, come il profilo delle montagne; ho trovato in loro purezza, generosità e un grande senso dell’ospitalità». Tornato a Fort Yukon l’avventura di Igor si è conclusa, dopo essersi concesso un aereo fino a Fairbanks, con altri 9mila chilometri di autostop per arrivare a Toronto passando da Vancouver.
Il viaggio di Igor D’India si è trasformato in “The Yukon Blues” un documentario prodotto dalla Kobalt Entertainment che in Italia sarà trasmesso da Deejay Tv e al cui acquisto sono interessati anche emittenti d’Oltreoceano: «Il titolo fa riferimento a quella sensazione di malinconia che colpisce le persone che abbandonano questi luoghi selvaggi e magnetici – conclude Igor – all’interno abbiamo inserito anche del materiale originale della spedizione di Bonatti che ci è stato concesso. Spero che guardandolo in qualcuno nascano una scintilla e delle idee». Magari per decidere di partire ancora, raccogliendo con una nuova impresa quel testimone che Jack London e Walter Bonatti hanno portato fino ad Igor D’India.