Sono i tuttofare della “casta” e dal 13 di gennaio non avranno più un lavoro. Nessuno ne parla perché non è politically correct difenderli, ma fino all’altro ieri, raccontano, “ci sfruttavano manco fossimo stati dei luridi camerieri”. Quando nel lontano ’97, senza un bando pubblico, il romano Sergio Scarpellini – costruttore, allevatore, e, soprattutto finanziatore di partiti di destra e sinistra per 650mila euro negli ultimi tredici anni – mise a disposizione della politica una serie di palazzi nelle vie limitrofe a Montecitorio alla modica cifra di 48 milioni di euro l’anno, la politica acconsentì senza batter ciglio. Il pacchetto del costruttore offriva anche più di 400 dipendenti con contratto di tipo “turistico alberghiero” a tempo indeterminato (con retribuzioni che oscillavano dagli 800 ai 1100 euro), personale che in estrema sintesi avrebbe dovuto svolgere la mansione di “tuttofare dei palazzi”. Personale che, a detta di chi conosce la storia di quegli anni, “fu inserito dalla politica: ci sono lontani parenti di deputati figli di commessi, e anche nipoti di assistenti parlamentari”.
Ma in questo caso il sacrificio viene riservato all’anello debole della catena. Ed ecco che la terza vertenza in Italia per numero di lavoratori (426 coinvolti), la prima nel Lazio, ha il sapore sì di “casta”, ma investe i 426 dipendenti della Milano ’90 (azienda di Sergio Scarpellini), oggi in mobilità, senza alcuna prospettiva, e senza alcuno stipendio dal mese di ottobre. “Loro – inveisce contro chi decide la loro sorte Francesca, donna di mezza età, e dipendente della Milano ’90 – hanno la responsabilità di 426 famiglie. Noi siamo operai, non pretendiamo gli stipendi dei commessi parlamentari, siamo semplicemente alta rappresentanza a basso costo. Il 13 gennaio saremo a spasso, e non avremo più un lavoro”.
“Esasperati” da una trattativa che non porterà a nulla, i dipendenti della Milano ’90 da giorni in assemblea permanente si aggirano in “borghese” nei corridoi di Palazzo Marini, edificio che da anni ospita i gruppi parlamentari di Montecitorio. Sono gli ultimi giorni perché una delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera ha messo a verbale che dal 17 novembre era necessario iniziare a liberare le 405 stanze occupate dai deputati a palazzo Marini. Una smobilitazione figlia di un emendamento di Riccardo Fraccaro (M5s) contro gli affitti d’oro, che di fatto ha consentito al Parlamento di rescindere i contratti con il palazzinaro Sergio Scarpellini. Per i 426 lavoratori senza prospettive di riassorbimento soltanto 750 euro di indennità per resistere altri otto mesi. Poi, si vedrà.
Nell’attesa i pochissimi deputati che frequentano palazzo Marini, e che si trovano lì per chiudere gli ultimi scatoloni, scansano ed evitano i “finti commessi”, i camerieri di quello che un tempo fu un albergo (Palazzo Marini). Emblematica la scena di alcuni giorni fa al quinto piano del Palazzo. Mentre cinque dipendenti della Milano ’90 raccontano la vertenza al cronista si scorge la sagoma di Rocco Buttiglione. Il quale con molta nonchalance passa in mezzo ai dipendenti senza proferire parola, e, soprattutto, senza nemmeno un accenno di saluto. “Siamo stati considerati fin quando c’hanno sfruttato come facchini, come tuttofare di un sistema marcio. Oggi siamo carta straccia da gettare in un cestino”, sbotta un quarantenne che si riserva di svelare il nome. E anche quando “abbiamo sfilato davanti a Montecitorio gli unici che si sono affacciati sono stati Marco Miccoli del Pd e Matteo Salvini. Gli altri ci scansano o ci prendono per il culo. E persino la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha fatto orecchie da mercante alla richiesta di un incontro”.
L’esasperazione li porta a denunciare sprechi su sprechi che si sono consumati nel corso di quasi venti anni. O come quando sono stati gettati nei cassetti dell’immondizia decine e decine di computer che “avrebbero potuto dare alla scuola di mia figlia, dove i ragazzi sono costretti a portarsi la carta igienica da casa”. Sprechi su cui oggi si appellano i dipendenti della Milano ’90 per salvare il posto di lavoro. Assicura il questore Stefano Dambruoso, che partecipa al tavolo delle trattativa: “E’ vero che è la terza vertenza in Italia. Ma non può essere risolta da Scarpellini che ha interesse a guadagnarci. Deve essere estesa ai tavoli di discussione della regione. Stiamo facendo tutti gli sforzi per risolvere il problema occupazionale”.
Twitter: @GiuseppeFalci