L'ex viceministro all'attacco del premier: "Questo Pd mi preoccupa perché è sempre più in linea con gli interessi più forti". E anche Cuperlo insiste: "Rischi di incostituzionalità, non posso votare la riforma"
L’obiettivo vero del Jobs act è la “libertà di licenziamento“. Non lo dice il solito Landini, ma un ex viceministro e esponente del principale partito di governo: “Nelle favole – scrive Stefano Fassina su facebook – il contratto unico e 1,5 miliardi di euro per avviare dal 2015 l’estensione degli ammortizzatori sociali agli esclusi. Nella realtà, le decine di tipologie di contratti precari rimangono sostanzialmente intatte e un piatto di lenticchie per la “svolta storica contro la precarietà”. L’obiettivo vero raggiunto: la “libertà di licenziamento” così cara al premier. Della serie: “la sinistra dalla parte dei più deboli” e delle “parole che producono fatti”. Il punto di partenza per la polemica, dice il deputato della minoranza Pd è stato “un emendamento al disegno di legge di stabilità, il governo ha messo 200 milioni di euro per l’attuazione della legge delega sul lavoro. Una dote che svela la differenza tra le favole e gli obiettivi veri”. Poche ore prima Fassina aveva dichiarato al Gr1 che “questo Pd mi preoccupa perché è sempre più in linea con gli interessi più forti e meno vicino agli interessi e alle domande delle persone che cercano lavoro e che sono precarie”. Alcuni giorni fa la sinistra del Pd e i renziani erano arrivati allo scontro per la presentazione di alcuni emendamenti “anti povertà” presentati da Fassina, Cuperlo, Civati e altri.
Sul jobs act il Pd non presenta alcun emendamento anche per effetto dell’accordo interno che ha “placato” una parte delle minoranze del partito. Ma per Fassina non vuol dire che la mediazione abbia convinto tutti: “La soluzione trovata non è soddisfacente. Rimane un intervento che fa arretrare le condizioni del lavoro, e la parte che dovrebbe contrastare la precarietà è puramente virtuale e senza risorse – aggiunge – Presentare emendamenti, dati i numeri in aula alla Camera, non avrebbe avuto senso. Sarebbe stato solo un modo per ritardare. Esprimeremo la nostra valutazione negativa nel voto che si farà sul provvedimento”. “Il tentativo di Renzi è un’innovazione regressiva. E’ evidente che il cambiamento è necessario, ma dev’essere un cambiamento progressivo. Invece l’innovazione proposta da Renzi è solo un’illusione: l’illusione che svalutando il lavoro si possa generare crescita e ripresa”, replica Fassina al cronista che gli chiede se pensa che il premier stia cambiando il dna della sinistra italiana.
E che Fassina non è solo lo dimostra la presa di posizione di Gianni Cuperlo: “Nella legge delega sul lavoro ci sono rischi gravi e seri di incostituzionalità. Così com’è il provvedimento non è sostenibile, non posso votarlo”. L’incostituzionalità è legata “agli aspetti di disuguaglianza che si creano tra lavoratori” con il contratto a tutele crescenti. “Noi – ha precisato – non vogliamo che il governo cada, ma nemmeno il riflesso che si accetta tutto: non è questo il modo di ragionare”. Secondo Cuperlo, “il partito non è una ditta e nemmeno una caserma, è una comunità”. Rivolgendosi al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, “da qui a lui dico: non è che obiettare su alcuni contenuti della sua riforma è disconoscere il valore sociale dell’impresa”.