“The Art of McCartney” – pubblicato in questi giorni – è un progetto ambizioso che ha avuto più di dieci anni di gestazione. L’idea di questa raccolta – che celebra il prolifico songwriting del geniale Beatle – è venuta al produttore Ralph Sall, non nuovo alle raccolte celebrative, ma che in questo caso si è imbattuto in un’avventura titanica. Le canzoni a firma Paul McCartney sono centinaia e abbracciano i Beatles, la sua produzione solista e quella con i Wings, ecco perché tentare una scrematura per la raccolta deve essere stato un lavoro spropositato e nonostante i 34 brani (per il doppio cd e triplo vinile), gli assenti importanti non mancano.
Bob Dylan – la cui presenza lascia senza parole, ma stupisce fino ad un certo punto – si sceglie il pezzo e se lo cuce addosso
L’idea di base è stata di portare in studio la band che accompagna dal vivo McCartney, così che la maggior parte degli arrangiamenti potessero mantenere il fresco approccio live e soprattutto il sound “alla McCartney”. Questa procedura ha sicuramente reso i lavori più facili per Sall evitandogli di imbattersi in stravolgimenti, ma allo stesso tempo ha posto dei limiti ben precisi agli artisti che si sono ritrovati ad eseguire una canzone senza poterla realmente far propria, magari proprio stravolgendola. In fondo si tratta di una celebrazione con decine e decine di artisti diversi tra loro, quindi la scelta del produttore appare comprensibile. Bisogna però aggiungere che questa non è stata una prassi valida per tutti, le eccezioni ci sono state e in un caso particolare non poteva non essere così: Bob Dylan – la cui presenza lascia senza parole, ma stupisce fino ad un certo punto – si sceglie il pezzo e se lo cuce addosso; la sua versione di “Things We Say Today” (scritta da un McCartney poco più che ventenne) è uno dei momenti più belli dell’intera raccolta. Lo segue un’altra eccezione, Willie Nelson con una “Yesterday” toccante, che difficilmente avrebbe trovato interprete migliore. La lista degli artisti è davvero lunga, ma si accorcia quando si parla di coloro che riescono a far proprio il brano interpretato: Billy Joel apre in entrambi i dischi e conferma la sua caratura soprattutto con “Maybe I’m Amazed”, ma non è da meno nell’esecuzione di “Live And Let Die”. Appare quasi ironica la scelta di far interpretare “Helter Skelter” a Roger Daltrey, ed il cantante degli Who spinge in potenza là dove la voce non riuscirebbe più ad arrivare. Il blues di “On The Way” è invece tutto per B.B. King. Poco importa se gli arrangiamenti si mantengono fedeli alla linea McCartney, quando alla voce c’è Brian Wilson “Wanderlust” diventa magicamente un pezzo dei Beach Boys.
Billy Joel apre in entrambi i dischi e conferma la sua caratura soprattutto con “Maybe I’m Amazed”
Ottime anche le esecuzioni di “Venus And Mars / Rock Show” da parte dei Kiss e “Helen Wheels” fatta propria dai Def Leppard. Non si può citare l’intera lista che tra i tanti comprende anche i Cure (“Hello Goodbye”), Cat Stevens (“The Long And Winding Road”), Steve Miller (“Junior’s Farm”), Barry Gibb (“When I’m 64”) e Alice Cooper (“Eleanor Rigby”). “The Art Of McCartney” è una raccolta che vede come unico filo conduttore la dimostrazione del genio compositivo di un artista la cui costanza compositiva appare irraggiungibile.