Con la chiusura della campagna elettorale per le Regionali in Emilia e in Calabria sembra caduta la maschera del Renzi rassicurante e piacione, bullo e decisionista ma come ripete all’infinito “sempre disposto ad ascoltare”.

Quello che si è presentato alla vigilia di un voto regionale limitato e poco avvincente per gli elettori provati dalle “spese pazze” in Emilia e dalle “vecchie conoscenze” nelle liste calabresi, è un presidente del Consiglio-segretario rabbioso e livido nei confronti di chi non è d’accordo con lui, tutt’altro che inclusivo e beatamente ottimista secondo copione.

A Bologna si è scagliato contro i sindacati (la Cgil) che “fanno politica” e “si inventano scioperi” a differenza della deferenza mostrata nei confronti del governo Monti, che “perdono tempo” ad accanirsi contro il jobs act  “la legge più di sinistra che sia stata fatta negli ultimi anni” e più direttamente contro Maurizio Landini stigmatizzato come “l’altra faccia di Salvini”.

A Cosenza, dove è stato ancora una volta contestato e ci sono stati anche tafferugli, ha tuonato che le fabbriche bisogna riaprirle e non occuparle.

Nella risposta ad Ezio Mauro, una specie di appello finale al voto affidato alle pagine di Repubblica, forte anche del clamore suscitato dalla frase arrischiata di Landini sulle persone perbene che non lo sostengono, Renzi, oltre a rivendicare quanto il jobs act tuteli i più deboli, si è spinto sull’articolo 18 dove era difficile immaginare. A chi rileva come sia irrealistico sostenere che con la libertà di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo ripartono le assunzioni e gli investitori stranieri accorrono in Italia, Renzi risponde semplicemente ribaltando l’onere della prova.

Ci vuole una dose di arroganza veramente fuori del comune, mentre aumentano i ricorsi alla cassa integrazione e la domanda è al palo, dopo che sono trascorsi ben sette mesi dagli 80 euro passe-partout della campagna elettorale per le Europee, pretendere da Landini che sia lui a spiegare perché con l’art.18 ancora in vigore (ma ridimensionato dalla Fornero) non aumentino i posti di lavoro.

Evidentemente Renzi è molto teso: non gli piacciono le contestazioni sempre più diffuse, sa perfettamente che i dati economici dopo dieci mesi dalla destituzione dell'”inconcludente” Letta non sono migliorati, è consapevole che il percorso delle riforme non è pacifico e che l’Italicum per la Camera in vigenza di un sistema bicamerale sarebbe incostituzionale.

In Parlamento, al di là della flessione alle Europee c’è, per fortuna, sempre il M5S con il suo 25% che ha presentato da tempo una proposta per abrogare la ex-Cirielli e dalla prossima settimana sarà divertente vedere come si porrà il Pd sulla prescrizione dopo le sparate a tre giorni dal voto sull’onda dell’indignazione per il processo Eternit.

E nell’immediato per il voto regionale dove l’astensione si annuncia tale da non poter essere ignorata anche “grazie” alla presenza di personaggi alquanto “trasversali” come  Nicola Adamo, Belcastro e Tripodi in Calabria o alle primarie disertate in Emilia per la tortuosità nella designazione dei candidati, Renzi sa di doversela vedere al Nord con Salvini e al sud con una rete clientelare di riciclati del tutto impermeabile alla presunta rottamazione.

Comunque se gli elettori di riferimento del Pd renziano devono essere invogliati ad andare a votare per la forza degli argomenti e per i risultati al netto della propaganda e dell’enfatizzazione mediatica degli errori o dei limiti dei “nemici del giorno” del mago del cronoprogramma, il dato dell’astensione potrebbe superare le previsioni.

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