I sessant’anni del padre gesuita Dall’Oglio tenuto prigioniero in Siria ci fanno riflettere sui numerosi ostaggi e se è giusto pagare oppure no un riscatto. Certo la situazione per coloro che sono prigionieri in Siria è ancora più complessa, perché non sono chiare le motivazioni per cui i miliziani dell’Isis trattengono gli ostaggi.
Stanno chiedendo soldi per rimetterli in libertà o hanno intenzione di usarli come scudi contro attacchi esterni? L’ideale sarebbe non pagare seppure si tratta di una decisione difficile da mettere in pratica soprattutto per le reazioni familiari o dell’opinione pubblica.
C’è però una riflessione etica da fare. Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, commissario dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIao) ritiene che “per alcuni paesi il rispetto della sacralità della vita non può prevalere sulla tutela della sacralità dello Stato, in quanto garante non solo del bene del singolo, ma di quello dell’intera comunità. Piegarsi alla logica illegale di una richiesta di riscatto lede questa sacralità, va contro l’interesse generale e non può essere mai giustificato. A parere di altri invece, la vita costituisce un bene supremo che prevale su ogni altro valore poiché è nella sua tutela che si incarna la sacralità dello Stato; la logica illegale del riscatto va respinta, ma ciò non cancella il valore primario della vita individuale”.
Il giornalista americano Rukmini Callimachi racconta dell’aereo militare tedesco che arrivò semivuoto a Bamako, capitale del Mali, nel 2003. A bordo c’erano soltanto poche persone che portavano tre valigette, riempite con cinque milioni di dollari. Non era formalmente un riscatto, ma un “aiuto umanitario” al governo del Mali. Appena il presidente del paese ricevette le tre valigette, le fece consegnare nel nord del paese a bordo di alcuni pick-up. I soldi vennero contati da alcuni miliziani su una coperta stesa sul deserto e alcuni giorni dopo una serie di ostaggi rapiti in Algeria vennero liberati.
Il Wall Street Journal cita invece David S. Cohen, sottosegretario del Tesoro americano che si occupa di terrorismo, il quale ha dichiarato che soltanto i paesi che, secondo gli Stati Uniti, sponsorizzano il terrorismo sono più munifici del business degli ostaggi: i riscatti sono diventati la principale fonte di finanziamento per i gruppi legati ad al Qaeda nell’Africa del nord, in Yemen, in Siria e in Iraq. Secondo Cohen, 120 milioni di dollari in riscatti sono arrivati a questi gruppi dal 2004 al 2012, e la filiale yemenita di al Qaeda da sola ha raccolto 20 milioni di dollari.
Sul New York Times, sempre R. Callimachi parla dell’italiana Mariasandra Mariani, rapita nel sud dell’Algeria nel 2011 e liberata dopo 14 mesi di detenzione: lei diceva ai suoi rapitori che la sua famiglia era modesta, coltivava ulivi sulle colline vicino a Firenze, e il suo governo si rifiutava di pagare riscatti. Il rapitore la rassicurò: “I vostri governi dicono sempre che non pagano. Quando torni, voglio che tu dica agli italiani che il tuo governo paga. Pagano sempre”.
Pagare significa fare in modo che vite umane possano diventare un veicolo di finanziamento del terrorismo. E allora che senso ha barattare vite umane visto che il denaro dei riscatti viene spesso utilizzato per comperare nuove armi ed esplosivi?