Ariel Marcus Rosenberg e le sue (im)perfette canzoncine pop sono la quintessenza della tragicomicità: "Benché questo sia il primo disco “solista” accreditato soltanto a mio nome, è anche di gran lunga il disco meno “solista” che abbia mai registrato", ha detto a propposito
La copertina è completamente rosa perché l’autore, Ariel Marcus Rosenberg, da oltre una dozzina d’anni è noto come Ariel Pink. Questo rosa da “Pig Parade” è squarciato soltanto da alcune macchie e da una scritta buffa e stupidina in vernice nera glitterata, in rilievo, poiché la parodia ironica e dissacrante del glam è una chiave di lettura fondamentale per comprendere il maelstrom brillantinato edificato a partire dallo scorso decennio da Ariel Pink, le cui tracce di rossetto riconducono, più che al lirismo di Marc Bolan o David Bowie, alle crisi di personalità del pionierismo glam punk slabbrato e sguaiato dei New York Dolls, ai Roxy Music e al Rocky Horror Show. Spalancando come un libro il doppio LP di “Pom Pom”, che esce questa settimana su 4AD, in una distesa di disegnini e testi – pare quasi di aprire un numero di Punk Magazine di metà settanta – in un angolo si riescono a scorgere queste parole: “Cari amici, questo splendido album è stato registrato a Los Angeles tra novembre 2013 e luglio 2014 in varie location e con l’aiuto di tante magnifiche e talentuose persone. Benché questo sia il primo disco “solista” accreditato soltanto a mio nome, è anche di gran lunga il disco meno “solista” che abbia mai registrato e, in tutta onestà, non avrei mai potuto realizzare questo album senza il contributo di amici, musicisti, ingegneri del suono, artisti e fans che hanno impreziosito i solchi che tenete tra le vostre mani in questo momento. Grazie a tutti voi dal profondo del cuore per avermi consentito di sognare tutta la vita.”
Due osservazioni: questo ”è effettivamente il primo disco che non esce con la denominazione sociale “Ariel Pink’s Haunted Graffiti” e, altro tassello da inserire nel nostro mosaico, l’utilizzo del verbo “sognare” non appare casuale. Il sogno è un’altra delle chiavi di lettura imprescindibili per interpretare la musica di Ariel Pink: “Only In My Dreams” cantava il californiano nel suo ultimo album, “Mature Themes”, mentre fantasticava di sedurre ragazze su ragazze nei panni di un simpaticissimo, maldestro ma irresistibile tombeur de femmes, eterno ragazzino nonostante la non più tenerissima età. Il filone trasognato di cui il Nostro è tra i massimi esponenti è stato qualche anno fa ribattezzato “hypnagogic pop” da David Keenan, giornalista del mensile inglese The Wire. Se ci atteniamo a quanto riportato da Simon Reynolds nel suo “Retromania”, l’attributo “hypnagogic” proviene dalla riflessione di un altro precursore del genere come James Ferraro, secondo il quale molte delle sonorità anni ottanta di cui sono permeati questi autori “si erano infiltrate nella coscienza dei musicisti quando erano ancora bambini, nel dormiveglia (il cosiddetto stato ipnagogico). Quando i genitori ascoltavano i dischi in soggiorno, la musica arrivava in camera da letto ovattata e smorzata dalle pareti.” Lo stesso periodo, la metà degli Ottanta, in cui, racconta lo stesso Ariel Pink, “MTV era la mia babysitter”. “Risultato,” prosegue Reynolds: “il sound psichedelico iper-riverberato delle numerose registrazioni pubblicate con il nome Ariel Pink’s Haunted Graffiti è infestato dagli amichevoli fantasmi di Hall & Oates, Men Without Hats, It’s Immaterial, Blue Oyster Cult e Rick Springfield.”
Dallo scorso decennio Ariel Pink pubblica dischi strepitosi: da “The Doldrums” a “Before Today”, da “Mature Themes” al nuovo “Pom Pom” ed ogni nuova uscita è una festa perché mister Rosenberg non è soltanto un campione assoluto di simpatia e buonumore ma anche il più grande autore pop della nostra epoca. E così, con il suo stile unico ed il suo irresistibile savoir faire, ci somministra un altro doppio milkshake rosa di cultura pop a bassa fedeltà in cui albergano hard rock pomposo, synth pop dark e romantico, punk, sixties garage, new wave da classifica, chewing gum pop, languidi croonerismi, psichedelia, FM americana, cartoon, dub-rock narcolettico, blues, canzoncine natalizie.
La sua grandezza risiede nel saper coniugare come nessun altro l’ilarità e l’ironica leggerezza dello scherno, della citazione, della maschera, della parodia con uno sguardo sul mondo talvolta assolutamente tragico, talvolta cinico e caustico. Ariel Pink e le sue (im)perfette canzoncine pop sono la quintessenza della tragicomicità ed i suoi video sono la dimostrazione che è anche uno dei più grandi comici in circolazione, esimio esponente di una generazione che non accetterà mai di invecchiare senza prima essersi coperta almeno un po’ di ridicolo. Non deve aver compreso molto di tutto ciò la giovane Claire Boucher, in arte Grimes, se in un tweet che ha generato tutta una coda polemica sul web ha liquidato il Nostro tacciandolo di “misoginia maniacale”. Ah, se la giovane Grimes avesse anche soltanto un briciolo del talento di Ariel Pink… e invece… Dato conto di ciò, la vera notizia è che, nell’ambito del tour mondiale che seguirà l’uscita di “Pom Pom”, Ariel Pink ha annunciato anche due date italiane per il 6 e 7 marzo 2015, rispettivamente nell’ambito di Elita, a Milano, ed al Locomotiv Club di Bologna. Siamo certi che molti hanno stappato una bottiglia per festeggiare la lieta novella. Pom Pom.