Dopo un lungo braccio di ferro, Benyamin Netanyahu l’ha spuntata: il governo israeliano ha approvato a maggioranza il progetto di legge che definisce Israele “Stato della Nazione ebraica“. Hanno votato contro diversi ministri laici. Uno di essi, Yair Lapid, si è detto pronto a passare all’opposizione. A favore del progetto di legge illustrato dal premier, esponente del Likud, hanno votato 15 ministri, mentre altri sette (fra cui uno dello stesso partito del premier) si sono opposti.
Il risultato di breve termine Netanyahu lo ha raggiunto, ma ora la coalizione di governo rischia di sfaldarsi. L’iniziativa nello stesso governo ha destato resistenze (15 voti a favore e sette contro) anche perché giunge in mesi in cui in Israele le relazioni fra la maggioranza ebraica e la minoranza arabo-palestinese sono particolarmente tese. “Una mossa davvero irresponsabile”, ha esclamato dai banchi dell’opposizione il leader laburista Yitzhak Herzog, mentre dai Territori giungono anche oggi notizie drammatiche. A Gaza, un palestinese avvicinatosi troppo ai reticolati di confine è stato ucciso dal fuoco di militari. In Cisgiordania la casa di una vedova e delle sue tre figlie ha preso fuoco nella notte dopo che – secondo le loro testimonianze – alcuni coloni ultrà le avevano attaccate con una bottiglia molotov e gas lacrimogeni.
Malgrado il clima politico arroventato, Netanyahu ha ritenuto opportuno affrontare oggi due importanti ministri laici – Yair Lapid (Finanze) e Tzipi Livni (Giustizia) – quando ha chiesto al governo di sostenere la legge che sarà presentata mercoledì in lettura preliminare alla Knesset. Il carattere democratico di Israele, ha argomentato, è ben saldo e radicato. Invece sul carattere ebraico, ha aggiunto, vengono espresse crescenti riserve, sia all’estero (ad esempio da parte dell’Anp) sia all’interno, dalla minoranza araba e da diverse Ong. Per questa ragione, ha aggiunto, si rende necessaria una legge che da un lato garantisca a tutti i cittadini (ebrei e non) pieni diritti, in quanto individui. Dall’altro che stabilisca che il carattere nazionale di Israele sarà solo e soltanto ebraico.
Tradotto in termini pratici, ciò significa – secondo la bozza di legge – che in futuro la legislazione e le sentenze dei giudici dovranno ispirarsi maggiormente ai valori ebraici. E che lo Stato, come tale, sosterrà maggiormente l’educazione ebraica, mentre ciascun altro collettivo di singoli potrà sviluppare – in maniera autonoma – i propri valori e la propria cultura. Una legge, in sostanza, che cerca di impedire che Israele diventi gradualmente “uno Stato di tutti i suoi cittadini”. Secondo alcune interpretazioni, la legge rappresenta una risposta indiretta alla Corte Suprema che nei mesi scorsi ha annullato una norma concepita per fermare l’immigrazione illegale di africani in Israele, sulla base di considerazioni di diritti civili universali. In futuro gli stessi giudici potrebbero trovarsi con le mani legate.
“Una legge cattiva, voterò contro”, ha esclamato il ministro Lapid. “Oggi nemmeno Menachem Begin, il leader storico della Destra, si troverebbe a suo agio nel Likud”. Polemica anche la Livni, secondo cui nella sua forma attuale la legge è inaccettabile. Altri, da sinistra, affermano che il governo Netanyahu oggi ha “attentato alla democrazia” israeliana. Mercoledì, alla Knesset, si saprà se il governo Netanyahu abbia i giorni contati. I ministri laici di Yesh Atid e di Ha-Tnuà (Livni) dovranno decidere se assentarsi dall’aula o votare contro. In questo secondo caso, Netanyahu potrebbe decidere il loro siluramento, con evidenti conseguenze per il governo e la coalizione di maggioranza.